Gianmario Lucini, poeta, oltre ad aver fondato Poien è stato anche attivo riformatore della scena poetica italiana grazie alla sigla editoriale CFR. Il catalogo dei suoi libri e tutto il magazzino è stato donato a Poiein (ai link le pubblicazioni anno per anno 2014, 2013, 2012, 2011, e il pdf del catalogo completo fino al 2013).
Per informazioni sui volumi aps.poiein @ gmail.com
AA.VV., Cuore di preda, pp. 160, € 13,00
“Cuore di preda è un’antologia bellissima, e lo dico non perché, da editore, voglia lodare i libri che metto in commercio, ma proprio mettendomi una mano sul cuore e una sul capo. E’ un lavoro straordinario, reso ancor più prezioso dalle ottime fotografie di Fabiola Ledda e ideato e curato con grande intelligenza e sensibilità da Loredana Magazzeni. É un libro forte, che scuote le coscienze e obbliga a riflettere sulle contraddizioni evidenti che questa civiltà e questa cultura praticano nei riguardi delle donne. Per questo ho cercato di contenere il prezzo di copertina: per cercare di diffonderlo il più possibile. Gianmario Lucini – CFR edizioni]”
Le poete che vi hanno partecipato sono: Marina Agostinacchio, Nadia Agustoni, Viola Amarelli, Claudia Ambrosini, Antonella Anedda, Lucianna Argentino, Dina Basso, Franca Battista, Mariella Bettarini, Elisa Biagini, Nunzia Binetti, Anna Maria Bonfiglio, Nicoletta Buonapace, Maria Grazia Calandrone, Maddalena Capalbi, Maria Teresa Carbone, Alessandra Carnaroli, Nadia Cavalera, Nadia Chiaverini, Maria Teresa Ciammaruconi, Paola Cimatti, Mara Cini, Laura Corraducci, Marcella Corsi, Anna Maria Curci, Caterina Davinio, Anna Elisa De Gregorio, Lella De Marchi, Azzurra De Paola, Fortuna Della Porta, Imtiaz Dharker, Mary Dorcey, Antonella Doria, Germana Duca, Patrizia Dughero, Leila Falà, Agneta Falk, Anna Maria Farabbi, Narda Fattori, Paola Febbraro, Annamaria Ferramosca, Fernanda Ferraresso, Zara Finzi, Laura Fusco, Serenella Gatti, Piera Giordano, Marina Giovannelli, Fabiana Grasso, Lucia Guidorizzi, Giovanna Iorio, Letizia Lanza, Rosaria Lo Russo, Annalisa Macchia, Gabriella Maleti, Angela Marchionni, Silvia Molesini, Gabriella Musetti, Daniela Musumeci, Roberta Parenti Castelli, Erminia Passannanti, Cetta Petrollo Pagliarani, Luisa Pianzola, Pina Piccolo, Marge Piercy, Luisella Pisottu, Marinella Polidori, Graziella Poluzzi, Maria Pia Quintavalla, Daniela Raimondi, Sally Read, Rossana Roberti, Franca Rovigatti, Anna Ruotolo, Lisabetta Serra, Iole Toini, Mary Barbara Tolusso, Paola Tosi, Ida Travi, Michela Turra, Paola Turroni, Maria Luisa Vezzali, Alessandra Vignoli, Vannia Virgili, Anna Zoli, Giovanna Zunica.
Fiammetta Giugni – Il libro mastro (racconto), pp. 64 € 9,00
Grazie ad un talento letterario che si sostanzia di sapienza tecnica, l’autrice riesce a comporre un testo in cui si concentrano e si stratificano nella stessa pagina generi letterari diversi con esiti assolutamente originali: romanzo storico, romanzo epistolare, apologo, pastiche linguistico, novella, bildungsroman. La mescolanza avviene attraverso un dosaggio sorvegliatissimo dei vari elementi, che Fiammetta Giugni utilizza con mano ferma, adattando lo stile ai cambiamenti interiori dei personaggi, all’esplicarsi del senso complessivo della storia, al modificarsi degli ambienti naturali, superando abilmente una sfida davvero ardua, ossia quella di gestire contemporaneamente, nel breve giro di un racconto, più piani temporali che si intersecano.
Ne scaturisce un testo che ancora una volta unisce due aspetti difficilmente conciliabili, ossia una lettura molto godibile che tiene il lettore sul filo della curiosità fino alla conclusione del racconto, ed al tempo stesso una complessità compositiva che si riflette in quella dei significati, tanto da potersi leggere il testo come un’allegoria.
Giancarlo Serafino, Città Fenicie, pp. 64, € 9,00
“Un mondo che crolla/ gonfio d’infamie”. Ecco, questa è un’immagine che Serafino stacca dalla sua testa e incornicia in una lingua povera, come stracciate sono le vicende che l’hanno ispirata. Serafino la incornicia in un libro “gonfio” di queste litanie grondanti infelicità e stupore dell’uomo di fronte alle turpitudini della terra, anzi dei suoi cari abitanti, e le enumera così, come sono nelle immagini che le sue parole sincere e vere promuovono a poesia del dolore e della misericordia. Serafino è un poeta, non c’è dubbio, un poeta consapevole dell’importanza dei versi che dell’opprimente realtà fanno una croce di pena e di disperazione, almeno in questa raccolta che si proietta nella pagina come un grafico di rara precisione, dentro un affresco pietoso, preciso ed eloquente come la narrazione del rapsodo che viaggia in mezzo alla pianura o che s’arrampica sulle vette alte per poter osservare la vita com’è e come non dovrebbe essere. Non ci sono dubbi sulla pietà del poeta, come è senza un graffio di impurità la sua lingua, la sua prosodia senza retorica e senza abbandoni fasulli e ridicoli. La sua è una poesia pura e semplice nella complessità delle argomentazioni, come nel loro disegno linguistico, attenta sempre (ed è l’unica “attenzione” di Serafino nell’ampio cammino del suo inventario umano) a non rovinare il disegno con tracciati debordanti, ridondanti.
La sua è una prosodia semplice ed efficace, proposta a chiunque abbia dell’umanità una visione, una compassione sincera e degna dell’aiuto della poesia per promuoverla nel mondo con tutti i crismi della bontà.
Arnaldo Ederle
Arnaldo Éderle, Vocativi e querele, pp. 64, € 10,00
Istintivo e più espressivo e trasgressivo negli anni della sperimentazione (ed è anche ovvio, visto che sono gli anni della giovinezza) e più riflessivo ed incline ad un sentimento di armonia formale, in Vocativi e querele. Il 1981, anno dell’edizione di questa raccolta, rappresenta il compimento dei 45 anni di età del nostro autore e pertanto, più che di carattere “apollineo” della sua scrittura, io sarei tentato di vedervi un primo tentativo di bilancio, esistenziale ed artistico, come di quell’alpinista che dopo la prima gran tirata per raggiungere la vetta, ad un certo punto trova un punto comodo e magari panoramico e decide di fermarsi qualche minuto per tirare un po’ il fiato, bere un sorso dalla borraccia, scattare una fotografia, insomma recuperarsi, rimettersi in sesto. E non sarebbe, questa, per altri aspetti, solo un’esigenza legata all’età, ma anche a una normale ciclicità dell’ispirazione artistica. A un certo punto un qualsiasi artista deve, se è saggio, riflettere e considerare il percorso intrapreso, per valutarne i punti forti e i punti deboli e questo non dipende dall’età ma da quanto si è scritto fino a quel momento. Bisogna fare i conti con la propria poetica, prima o poi. E il fatto che Éderle senta il desiderio, oggi, di ri-editare questo quaderno, significa che, per lui, il passaggio segnato in questi versi è stato molto importante e che, probabilmente, proprio da questo quaderno è iniziato qualcosa. Questo qualcosa che inizia proprio con Vocativi e querele, segna una cesura con il passato ed è anche il riscontro ad un generale cambiamento, proprio di quegli anni, sotterraneo ma generale nelle arti e forse nella vita stessa delle persone, con l’inizio di una fase nuova caratterizzata, da una parte, da un certo disincanto dopo l’orgia delle ideologie del decennio degli anni ’70 e, dall’altra, da un ritorno al privato, che a sua volta diventerà ideologico negli anni ’90, assorbito dal vortice dell’edonismo e del generale ripiegamento su se stessi. Anche qui, in questa raccolta, c’è il recupero di una dimensione privata, ma è un recupero qualitativo, segnato da un’ansia di comunicazione più pregnante e dalla ricerca di nuovi significati esistenziali. Non si tratta, certamente, di una “regressione” nel privato individuale, ma piuttosto nel ritrovamento di una dimensione dialogica e spirituale che non ha tempo, ma che l’ondata ideologica del 1968 (che pure ebbe i suoi grandi meriti per altri versi), di fatto aveva messo fra parentesi per prediligere una concezione dell’arte e della vita più intellettualistiche e spesso anche più funzionali alle diverse ideologie in competizione. [G. Lucini].
Arnaldo Éderle, Negrura, pp.24, € 5,00
I versi di Arnaldo, infatti, sono certamente percorsi da un acceso erotismo, ma si tratta di un erotismo molto diverso da quello “genitale” a cui siamo abituati dai versi dei nostri poeti. C’è, qualcosa di molto antico, un erotismo quasi sublimato o comunque volutamente nascosto e di gusto che rammenta lo stilnovismo e l’amor cortese (non dimentichiamo che Arnaldo Éderle ha tradotto le opere di Guglielmo d’Aquitania e di altri poeti cortesi e la sua formazione letteraria è debitrice sia alla poesia cortese che a quella stilnovista); c’è una fantasia che parte dall’immagine della bellezza e tenta di andare al suo centro, alla sua essenza, scoprendovi la contraddizione (“luce negra”, “impietosa aguzzina” o “fiocina” che colpisce “all’altezza del cuore”, ma insieme “grande bontà”).
E’ insomma la metafora di ogni grande amore, con le sue luci e le sue ombre, col suo bene e col suo male, il suo éros e il suo thanatos, capace di tenere il mondo dentro di sé, come dev’essere per ogni grande amore.
Per questo motivo trovo che Negrura, nella sua freschezza di ispirazione e nella sua immediatezza carnale e fisica delle immagini, sia un poemetto di grande rigore e concisione, capace di accendere la fantasia e di accompagnarla in un ambiente di assoluta libertà creativa, dove nessi ed associazioni mentali trovano un immediato e naturale sincretismo e ogni cosa appare perfetta.
Luca Benassi, Il guado della neve, pp. 64, € 10,00
La riprova che il Concorso Milani è un concorso di alto profilo, sta proprio nei risultati: questo Il guado della neve, che viene integralmente pubblicato (al Milani era stata presentata soltanto la silloge “Matteo Boe”, l’ultima della raccolta), quarta pubblicazione del poeta romano Luca Benassi (molto più noto come critico che come poeta, anche se il suo lavoro poetico è, a nostro avviso, di notevole levatura), risultata vincitrice. Si tratta di una scrittura lirico-civile, che la poeta e saggista salernitana Erminia Passannanti così descrive nella sua Prefazione:
“Riassumendo le qualità delle poesie contenute nella raccolta Il guado della neve, oltre al proposito di denuncia, congiunto all’intento commemorativo di fatti tragici, vale l’intenzione di questa poesia di rappresentarsi dinanzi a quella certo minima comunità di parlanti di Baunei (Ogliastra), compiendo un processo inverso all’aspirazione alla popolarità universale, extra regionale/nazionale. Mediante la messa in relazione delle varietà linguistiche impiegate, cade il predominio egemonico della lingua alta della lirica: non è l’istituto letterario, ma la qualità del discorso e dell’utenza a decidere il suo valore.
Anche sul piano contenutistico vi sono delle qualità: il tema, della sposa come corpo desiderato, penetrato, abusato, è risolto con una certa dose di femminismo, non come monito alla donna su come non farsi violentare, abbandonare ed uccidere dalla cultura maschilista, ma quasi come consiglio morale all’uomo su come smettere di stuprare, tradire, ingannare, abbandonare la donna-compagna, in tutte le accezioni metaforiche e reali, legate alla sua esistenza in vita (e la proposta, non a caso, è sussurrata, come suggerimento, non già come imperativo, dal savio, dolce figlio bambino). Erminia Passannanti”
Giovanna Iorio, Mare nostrum, pp. 56, € 10,00
Questa raccolta di poesie di Giovanna Iorio ha la veste di un poema: c’è la storia, c’è il racconto del viaggio, c’è la ricerca affannosa attraverso le vicende umane della Verità. La rotta indicata in questa raccolta è la strada che ogni giorno, ognuno di noi, intraprende uscendo di casa, lasciando alle spalle la moglie e i figli, per imboccare la strada che lo porta nel regno sotterraneo della metropolitana o nel pendolo del treno verso il posto di lavoro: “Questa strada / dritta e polverosa / porta al mare” (canto 6).
Un’odissea che inizia ogni mattina e si conclude a sera, stanchi, nella storia che ha come epilogo il ritorno: “L’ultima storia è il mio nome” ( canto 30).
“Nessun cedimento è concesso a compiacimenti lirici o a virtuosismi di altro tipo: il materiale linguistico viene sagomato con colpi precisi e decisi, troncando ogni superflua parola. Il linguaggio acquista pertanto una forza espressiva di notevole impatto, che si impone per una coerenza interna, per un gioco linguistico e semantico tutto suo e non per una particolare cura prosodica. In altre parole, quello che noi chiamiamo “bellezza” di un verso, non viene qui evocata da una particolare ricercatezza prosodica e a volte neppure semantica, ma da un corto circuito di senso, una specie di urto interiore che ci smuove, con grande empatia, suscitando attenzione e stupore. Gianmario Lucini”
Franco Manescalchi, Pinocchio in versi, pp. 65, colori, € 15,00
Franco Manescalchi, classe 1936, è un noto giornalista, saggista e poeta fiorentino. Sollecitato da Annalisa Macchia, che da anni si occupa di letteratura per l’infanzia, ha deciso di dare alle stampe questa riscrittura in versi del celebre capolavoro del Collodi.
Lo stile della versificazione segue non soltanto le suggestioni della poesia popolare, ma cerca di adattasi anche al linguaggio dei bambini. Quello che si presenta qui come un poemetto compatto, è in realtà il frutto di lavori sperimentali che l’autore ha svolto con i suoi alunni quand’era insegnante.
Il testo è stato poi illustrato da Roberto Silvestroni, un architetto che da sempre si diletta ad illustrare poesie e racconti per l’infanzia collaborando anche con Annalisa Macchia.
Il libro non è dunque da considerarsi una “novità”, nel senso che la storia di pinocchio è arciconosciuta dai bambini (o forse no? qualche sospetto è lecito…) ma proprio perché una via è aperta e il personaggio è conosciuto, il libro diventa uno strumento per permettere ai bambini (dalla seconda alla quarta classe primaria) di familiarizzare con il linguaggio della poesia, che qui è un gioco, volutamente semplice ed orecchiabile.
Donato Di Poce, Scintille di CreAttività, pp. 80, € 10,00
Con questo terzo lavoro, brillantemente prefato da Anna Antolisei, l’autore completa la sua trilogia creativa e insieme teorico-critica sull’arte visiva. Il problema che qui affronta ha però anche risvolti di natura psicologica, ossia, Di Poce cerca qui di illustrare, servendosi ancora di aforismi e brevi dichiarazioni teoriche, quella particolare facoltà della mente che esprime il risveglio creativo della persona. Non basta, afferma, essere creativi, ma occorre saper trovare la giusta dimensione del creativo, quel particolare stato d’animo che accende la creatività e la induce ad esprimersi, a diventare attiva, a mettere in campo tutte le sue risorse per raggiungere i migliori livelli di performance.
Molti creativi “producono” molto poco e con fatica, altri molto di più e quasi per gioco, e non è detto che le opere più “meditate” siano le migliori. In realtà, lo stimolo a produrre, ad esprimere, a interrogare il mondo con l’atteggiamento dell’artista, si alimenta operando da artisti, non dimenticando mai di esserlo. L’artista attivo è colui che è sempre immedesimato nel suo ruolo, e si pone sempre di fronte al mondo con l’atteggiamento mentale dell’artista. Non si può essere poeti o pittori a tempo perso, ma soltanto calandosi nel ruolo e non tradendolo mai, si opera quell’integrazione che ci fa esprimere sempre come artisti e dunque sempre “accesi” e attivi.
Una lettura dunque interessante e stimolante, adatta ovviamente ad ogni ruolo artistico e non soltanto a quello del fotografo o del pittore.
Maria Inversi, Solo un attimo, p. 88, € 10,00
“Maria Inversi ha un approccio sinestetico al fenomeno creativo, derivante dalla sua ormai consolidata esperienza teatrale nella quale elabora immagini, fotografie, musiche e testi, anche attraverso la riscrittura di testi e poesie altrui; ma anche scaturente da una sensibilità, da un’attitudine che la guidano attraverso le manifestazioni dell’esistenza, per poi distillarle in poesia. Vi è, insomma, una capacità di osservazione acuta e profonda delle cose, viste dal di dentro, per coglierne come in trasparenza le nervature, le essenze, gli elementi costitutivi, ponendosi di fronte all’esperienza come carta fotosensibile, pronta a farsi impressionare da ogni minima sfumatura. Ed effettivamente la poesia che il lettore si accinge a leggere è ricca di cromatismi, di rossi, di verdi, di azzurri, di carminio, ma anche dei bianchi e dei grigi di sbuffi di nuvole, dei viola e dei rosa accesi dei tramonti che spesso rendono incandescenti i tetti e le cupole della Capitale dove la poetessa vive. Quasi ci trovassimo di fronte a tessere di un mosaico bizantino soprassaturate di ori e smalti celesti, questa poesia colpisce per l’accuratezza del dettaglio, senza tuttavia mai essere iperrealista quanto legata alla condizione psichica che come un’acqua di fotografia consente o meno di impressionare la carta. A ciò contribuiscono gli altri sensi, primo fra tutti l’udito, che partecipano alla definizione di quel dettato sinestetico del quale si accennava innanzi; e dunque è la totalità sensitiva di un io corporeo ad essere chiamata a sperimentate il succo di questa poesia, che si materializza davanti all’occhio, all’udito, all’olfatto del lettore come cosa viva e palpitante […].
Questa poesia non è esente da una dimensione civile nella quale viene istaurato un dialogo con l’altro da sé. Si vedano i testi della sezione intitolata “Mani tese”, una sequenza dedicata alla figura del viandante, forse fra le più interessanti della raccolta. Personaggio inquieto, dai tratti evangelici, connotato da una povertà essenziale che si intuisce contrastante con un contesto urbano e contemporaneo, esso fa da contrappunto all’esistenza della poetessa, nei cui versi chi legge non può che riconoscersi e specchiarsi. Il richiamo, più che a una caritas evangelica, è verso un’essenzialità del vivere come possibile terreno di incontro e fratellanza (civile e laica), nel senso di un’humanitas di stampo classico. Ad essa si oppone la dispersione di una solitudine affollata e rancorosa, che “produce giorni infelici” e “speranze svilite”, brulicante di desideri inappagati e specchio di una condizione fatta di “niente” e “troppo” […].
Maria Inversi ci regala un libro importante, lavorato con estrema cura e passione, che rende ragione di una personalità forte e di una delle voci più consapevoli e mature del panorama nazionale. Luca Benassi”
AA.VV., Il peso del vento, pp. 72, € 10,00
Affrontiamo subito un possibile malinteso nella presentazione di questo volumetto: non si tratta infatti del “solito” quaderno di poesie che riassume alla meno peggio, con i testi di alcuni poeti “paganti” per farsi pubblicare, il “solito” concorso letterario-rapina, dove vince il raccomandato di turno. Ci piace infatti parlare fuori dai denti e in assoluta trasparenza. Questo libretto nasce perché un concorso letterario antimafioso, organizzato da una Associazione di volontari ed educatori calabresi, in un territorio (la Locride) che la ‘ndràngheta considera sua proprietà, dimostra che: a) non è vero che la Locride è della ‘ndràngheta, anche se essa la sta occupando violentemente ma abusivamente; b) ribellarsi si può (e si deve), c) anche la poesia può fare bene la sua parte ed essere un forte segnale di cambiamento.
Di questo libro saranno infatti stampate poche copie, perché il premio don Milani non ha avuto, quest’anno, un seguito consistente: appena una trentina di iscritti. Noi però siamo tenaci e accettiamo la sfida. Dovessimo stamparne anche solo 10 copie, di questo libro, lo faremmo, perché ci sono cose che sono belle perché si vivono, non perché si scrivono. La “bellezza”, in questi territori, non è un mazzo di fiori o un tramonto, la bellezza, qui, è ribellione, è gesto, è sfida a un potere opprimente e illegale. Un concorso letterario non è dunque soltanto un concorso, ma un segno di unità intorno a questa idea, un atto di solidarietà con chi sta sulla breccia e giorno per giorno si misura con l’impoesia della mafia e l’inciviltà del suo stile di vita.
Inoltre, ne stamperemmo anche soltanto 10 copie per un altro motivo: ossia che le opere presentate al concorso sono di ottimo livello!
La poesia è lieve e sottile, come il vento,è lieve ma insieme fortissima. La sua parola può far vivere o far morire, può scatenare molto più di un uragano, può spazzare via dalla società qualsiasi mafia, e qualsiasi potere. Bisogna credere in questo, altrimenti non ci si può sentire poeti, ma soltanto insicuri dilettanti. E noi vogliamo credere che sia possibile partire anche da un piccolo concorso di poesia con appena trenta partecipanti, per cambiare e, insieme a mille altre iniziative, spazzar via l’infamia della mafia dal nostro Paese. Ognuno faccia il suo dovere, anche i poeti.
Per questo vogliamo ringraziare coloro che hanno contribuito, con le loro poesie, alla realizzazione di questa pubblicazione:
Ennio Abate, Luca Benassi, Silva Bettuzzi, Luciano Canova, Maria Gisella Catuogno, Sergio Chiarotto, Benito Galilea, Piera Giordano, Giuseppe Ingardia, Emanuele Insinna, Gianmario Lucini, Maura Potì, Cristina Raddavero, Claudio Roncarati, Giancarlo Serafino, Antonella Taravella, Cristiana Vettori, Lucia Visconti, Giacomo Vit
Anna Maria Bonfiglio, La vicenda di gioia e di dolore nell’opera di Camillo Sbarbaro, pp. 40, € 7,00
Lavoro certosino e prezioso, che cerca di svelare alcuni aspetti della personalità e del carattere di uno dei maggiori poeti italiani del ‘900, che forse più di ogni altro segnò, nel secolo scorso, il distacco dalla poetica tardo-romantica e l’avvio di una poesia più moderna. Sbarbaro, forse più dello stesso Montale, è colui che sa cogliere il senso della solitudine esistenziale dell’uomo del ‘900. La sua opera lo testimonia, ma anche la sua vita, i suoi frequenti stati depressivi.
Il saggio di Anna Maria Bonfiglio ripercorre parallelamente le vicissitudini letterarie del poeta e la sua biografia, stabilendo parallelismi e illuminando sul valore anticipatore della sua poesia, che fu dimenticata per molto tempo dalla critica (soltanto in questi anni si ricomincia a parlarne e ad accostare il peso della sua opera a quello decisivo di Saba, Ungaretti e Montale, per il rinnovamento della poesia del ‘900).
Un saggio prezioso, di spessore e denso di riferimenti, illuminante, che ci permette di inquadrare la figura del grande poeta ligure e di riconoscergli il posto che si merita nella nostra letteratura.
Gianmario Lucini, Poemetti del dito, Bestiario e altre confessioni, pp. 64, € 10
Una raccolta di poemetti e poesie nella quale l’autore dà la stura a un riso amaro, a un’intenzione semiseria oscillante fra il giocoso e il sardonico, liberando una giocosità aggressiva e certamente non “politically correct” contro alcuni bersagli (la Pubblica Amministrazione, i guerrafondai, gli intellettuali e i giornalisti deferenti e omertosi, i poeti troppo intenti a sgomitare per trovarsi un loculo nella letteratura, il perbenismo del giudizio sulla poesia civile, ecc.).
La prima parte del volume comprende 8 poemetti in ottave e metrica libera (oltre un migliaio di versi), la seconda comprende Bestiario (25 poesie su vizi e virtù delle bestie), Uccelli (una metafora della convivenza umana) e Pranzo di nozze (una riflessione sullo stile di vita edonistico – forse non più attuale, considerando i nostri tempi, ma così girava il mondo).
Si tratta di composizioni datate (le più recenti, ossia i poemetti iniziali, sono del 2006, che l’autore ha deciso di pubblicare proprio per evitare di pensare continuamente se pubblicarle o no, considerandoli cari peccati della maturità ma anche scritti in uno stile che ora non è più il suo e in uno spirito (goliardico, ironico, scanzonato, irridente ma spesso anche amaro e a volte con punte di elegia) dal quale oggi, considerato l’orizzonte storico e politico, è lontano (e considerando che per molti anni a venire, questo sarà il futuro orizzonte).
Claudio Roncarati, Per/le Rime – pp. 56, € 9,00
Questa raccolta comprende la silloge “Per/le rime”, di cui mantiene il titolo, con la quale l’autore ha vinto il concorso “Pubblica con noi” 20012 organizzato da Fara editore e pubblicata nell’antologia La forza delle parole, edita da Fara.
La satira (se in questo genere letterario vogliamo collocare le composizioni del nostro poeta) è un genere difficile, perché deve scendere dall’Olimpo del lirismo e dalle altezze dell’estetica, per mescolarsi alla vita, alle sue contraddizioni, al paradosso e al lato comico delle situazioni. Roncarati è un poeta satirico e lo esprime sempre di più e sempre meglio in questa nuova raccolta. In La fata fatua e lo psichiatra, ancora rivestiva i panni dello psichiatra che fa poesia, qui invece non si cala più in nessun ruolo se non quello di poeta che osserva la realtà per trovarvi il lato paradossale, che mette a nudo una contraddizione e suscita il riso. Non è certo un riso a pieni polmoni, un riso libero e liberante, questo, ma piuttosto una risata a denti stretti, perché la realtà che il poeta osserva e fa agire nei suoi versi, non è limpida, non è spensierata ma anzi, densa di problematiche sociali roventi e mostra lo spaccato di una middle class che ormai è “alla canna del gas” e che lentamente e con smarrimento sembra svegliarsi dagli epigoni dell’edonismo prima reganiano e poi berlusconiano, spazzati via (si spera definitivamente) dalla crisi che dal 2008, a ondate periodiche ma costanti, attanaglia l’occidente (e sarà ancora per molto tempo, fino a quando davvero ci saranno cambiamenti e non solo chiacchiere).
La poesia di Roncarati si tiene su un registro ammiccante e leggero, pur alludendo a fatti a volte cupi, nella loro quotidiana e inosservata tragicità. […] Siamo anche di fronte a un poeta che non si preoccupa minimamente di stare dentro una “koiné” letteraria, pur non essendo “anti-letterario”: sostanzialmente gli piace giocare con le parole ed esprimere la sua solidarietà con gli ultimi della società e poco gli importa della letteratura: «Faccio rime per gioco e per protesta / affabulando politica e inchieste / stando dentro la realtà, l’ unica, questa». La sua unica preoccupazione per la forma è dunque solo per la rima (e in questa raccolta lo ribadisce continuamente), perché questo è lo strumento che gli consente di giocare – come egli dichiara proprio nella poesia in esergo alla raccolta – di divertirsi. Com’ebbe a scrivere un altro poeta vitalissimo (peraltro diversissimo per tematiche e stile dal nostro Roncarati), ossia il fermàno Luigi Di Ruscio (recentemente scomparso), per scrivere bene bisogna divertirsi, non considerarlo un compito corredato da inevitabile fatica: dal momento che la scrittura diventa un peso, allora è meglio non scrivere più.
Donato Di Poce, Guardare non è vedere, pp. 40, € 7,00
Intenti formativi e non soltanto estetici in questo conciso quaderno di Donato Di Poce, fotografo e poeta milanese nato a Sora (FR).
Più che “spiegare” i segreti della fotografia, l’autore cerca di suscitare l’empatia del lettore per l’arte fotografica illustrando, attraverso concisi aforismi, l’atteggiamento mentale del fotografo dinnanzi al suo soggetto e sfatando anche alcuni luoghi comuni che banalizzano l’arte della fotografia e coi fa capire che dietro un clic ben riuscito ci stanno anni e anni di preparazione teorica, di riflessione, di pratica (a parte i casi di “fortuna del principiante”, che però sono ben distribuiti in tutte le arti).
Il quaderno è utile anche come strumento di formazione e auto-formazione (e appunto come tale è stato pensato), perché offre ai docenti dei nodi problematici su cui impostare un ragionamento e anche una pratica, mentre offre ai discenti un ampio materiale di riflessione per capire se stessi, il loro “clic” e l’impensabile “che sta dietro” (nincoscio, gusto, storia personale, sensibilità, paure, ecc.).
L’immagine diventa, allora, un mezzo per allargare gli orizzonti mentali, per cogliere l’essenza dell’attimo e modo per esprimere una verità complessa che soltanto l’immagine può esprimere in un modo così immediato e conciso.
Gianmario Lucini, Krisis, (poesie) – pp. 48, € 8,00
“Per quanto può Gianmario Lucini imbastisce dei versi attraverso i quali proporre una poesia dialogica, che vuole essere anche racconto di incontri e non solo monologo di sé, così da opporre alla Krisis una volontà di ascolto che è sintomatica di un’apertura a 360 gradi. Esempi di quanto affermo, abbondano nelle pagine lette. Ma vi si ritrovano cinquine in cui si fa più serrato il confronto con la propria imago, vera e immaginaria, diretta e riflessa, dove l’uno che siamo è presentato come frammentato, come un pieno dai molti vuoti, se così si può dire. E’ la rappresentazione di un’incompiutezza, una sorta di bilancio in cui si guarda dentro e fuori il momento che separa da un prima e da un adesso a un dopo, ricapitolando e confessando dubbi, paure, trucchi, come in un elaborato streap tease in cui lo scoprirsi coincide con il coprirsi e il coprirsi con lo scoprirsi, fino all’immagine finale in cui si dichiara che si gode a perire, suggerendo l’idea di una metamorfosi interminabile (come se la risoluzione della crisi risiedesse nell’accettazione della medesima). Renzo Favaron”
Enciclopedia degli autori di poesia Vol I, pp. 256, € 20,00
Pensata come sussidio per coloro che intendono conoscere da vicino il mondo della poesia odierna e che hanno difficoltà a trovare notizie anche su Internet (molti autori, peraltro anche ottimi, su Internet appaiono pochissimo, perché non hanno un sito, non hanno un blog o un profilo Facebook o altro), l’enciclopedia ospita profili di autori nelle quali è riportata una bio-bibliografia, una dichiarazione di poetica (o critica di altra persone) e alcuni testi esemplificativi, perché il lettore possa giudicare direttamente dai testi la qualità dell’opera di chi si propone. Vi sono inoltre indirizzi elettronici, civici e addirittura numeri di telefono (ovviamente liberamente inseriti, essendoi dati sensibili). Ogni lettore o critico può così direttamente interloquire con l’autore o l’autrice di cui apprezza l’opera. In ogni caso, circa 120 pagine di notizie e altrettante di poesia, per i primi 63 autori che entrano nell’enciclopedia.
M.T. Ciammaruconi, V. Balena, I volti di Lou, pp. 48, € 10
Una poeta sperimentale calabra importata a Roma, un artista milanese di rara bravura, e poi il soggetto, la straordinaria Lou Salomé, donna di acutissima intelligenza che conobbe artisti, scienziati e poeti di mezza Europa, influenzandoli, in qualche modo, con la sua forte personalità.
Ecco l’intreccio che dà origine alla collana “Ibrida” di CFR, con questo primo titolo, che presenta 12 riproduzioni di sculture (di Vincenzo Balena) e 12 meditazioni poetiche (di M. Teresa Ciammaruconi).
Maria Teresa Ciammaruconi dell’incontro ha fatto un suo carisma, unendo in progetti di arte e vita amici, sodali, scambi intensi di visioni sul mondo per stare con decenza nel mondo, rifuggendo la compiacenza, sempre più estendendo le possibilità della sua cifra stilistica fatta di una scrittura esuberante ed infocata. Ha abbracciato l’esistenza di Lou Salomé e ha cercato di ricongiungere attraverso la lingua della poesia i molti volti con cui Lou ci è stata tramandata. La donna, l’intellettuale, la ricercatrice, la scrittrice, la moglie, l’amante scrive ad amici, sodali, marito, amanti attraverso la scrittura di Maria Teresa che è irriverente e rispettosa, esuberante e disciplinata. E non sono questi aggettivi di facile elencazione ossimorica ma realtà delle molte possibilità di scrittura dell’autrice che attaglia il suo spirito, la sua lingua all’ombra di Lou facendo venire fuori il suo corpo, la sua materia, la sua sfida nell’impedire al mondo di ridurla ad uno. Non è un caso che Maria Teresa scelga il pretesto della lettera – che nulla ha del carattere di epistola – per seguire il gioco della moltiplicazione; lo scrivente diventa anche un po’ destinatario e ognuno di essi riceve parti di verità che hanno attraversato le altre vite prendendo da uno, dando all’altro in una proliferazione di soggettività che riporta alla inesorabile irriducibilità di una donna che ha sfidato profezie, rotto convenzioni, anelato a mète precluse. Mariella De Santis
AA.VV., We are winning wing, (poesia), p. 80, € 10
Un gruppo di scrittori ribelli, che si identificano con un nome collettivo (“Noi rebeldìa”, ossia “Noi rivoltosi”) gioca con la rete”, come scrive Marta Barbaro, e si inventa un testo collettivo. I loro nomi:
Franca Alaimo, Giuseppe Aricò, Gherib Asma, Nadia Cavalera, Massimiliano Chiamenti, Antonella Ciabatti, M. Teresa Ciammaruconi, Giovanni Commare, Ivana Conte, Antonino Contiliano, Beppe Costa, Valerio Cuccaroni, Davide Dalmiglio, Antonio Fiore, Stefano Lanuzza, Mario Lunetta, Bianca Maria Menna, Francesco Muzzioli, Giovanni Nuscis, Leonardo Omar Onida, Natalia Paci, Marco Palladini, Giuseppe Panella, Emilio Piccolo, Luca Rosi, Francesco Sasso, Gianluca Spitalieri, Lucio Zinna.
Il testo ha carattere sperimentale: nasce per gioco e poi cattura attenzione e impegno progredendo nell’elaborazione. Gli autori sono poeti di ogni parte d’Italia che si considerano “avanguardisti”, ossia sperimentatori. Essi hanno scommesso sulla possibilità di scrivere un poemetto speciale, partito da alcuni versi, ai quali ognuno ha poi aggiunto altri versi, fino alla stesura del testo definitivo, che avviene in cinque “step” (in realtà sono più aggiustamenti e revisioni e, man mano, aggiunte di nuovi componenti, ma le principali stesure sono le cinque “in progress” riportate nel volumetto). Nel primo “step” il poemetto è di otto pagine: nell’ultimo di 20 pagine. Interessante anche scoprire il che modo si sono inserite le aggiunte e con quali effetti.
Nonostante la diversità di stile, di carattere, di linguaggio, di concezione della funzione della prosodia e del senso stesso di “verso”, il poemetto mostra una coerenza sorprendente e si lascia leggere molto agevolmente. Il risultato è, quindi, anche una dimostrazione di come si possa lavorare insieme senza snaturare la propria soggettività e originalità, creando qualcosa che allo stesso momento esprime le diverse individualità e le loro somme, ossia il gruppo, perché, crediamo, alla base di questa sperimentazione vi era un autentico spirito di collaborazione e un rispetto profondo per l’identità dei compagni di avventura – o, in altre parole, la capacità di decentrare il proprio egotismo e assumersi, ognuno, la responsabilità del progetto comune.
Un esperimento singolare e molto riuscito, che può essere un valido esempio di collaborazione fra intelligenze artistiche, pur diverse e di creatività a tutto campo.
AA.VV., A che punto è la notte, pp. 88, € 10
Non è un’opera concepita per il mercato, ma per i ragazzi e le ragazze dell’Istituto Professionale Morvillo/Falcone. Gli autori si sono divisi le spese e hanno, ognuno di loro, regalato qualche copia del volume all’Istituto, che è stato contattato per la consegna.
L’intenzione dell’opera è quella di registrare “a caldo” le impressioni (gli scritti infatti risalgono ai giorni immediatamente successivi l’assassinio di Melissa, il ferimento delle sue compagne e, quasi in concomitanza, il terremoto in Emilia…). Vi hanno partecipato scrittori e poeti noti, ma anche persone che non praticano la scrittura creativa – e, forse per questo, capaci di una scrittura più immediata, più libera dagli inevitabili condizionamenti letterari del poeta o del narratore. In particolare, non emerge la domanda “chi è l’assassino?” che tutti i media nazionali si sono immediatamente posti, ma piuttosto “perché è capitato questo fatto?”.
L’ipotesi del “mostro”, dello psicopatico, del gruppo di balordi, della mafia, persino del terrorismo internazionale, ecc., sembra non interessare coloro che qui hanno scritto e dato il loro contributo: sapere “chi” lo ha fatto, invero, non lenisce l’orrore e la sofferenza mentale, non spiega nulla e serve soltanto a dimenticare più in fretta e con la coscienza assolta o auto-assolta. Il fatto che all’interno di una società possano maturare crimini tanto assurdi (come discigliere i bambini nell’acido o ammazzare i parenti dei rivali), dimostra che “c’è del marcio nel regno di Danimarca” e che è necessario non archiviare e dimenticare ma riflettere e agire perché tutto questo non accada più.
Il volume non è in vendita perché, come editore, mi pareva di speculare, anche soltanto “cogliendo un’occasione di lavoro”, su un fatto così orribile: mi limito a chiedere le spese vive, perché non mi è possibile fare donazioni, oltre al mio tempo che con piacere ho dedicato al volume – come tutti coloro che vi hanno scritto.
Mariella De Santis, Merletti e baionette (teatro), pp. 32, € 6,00
Merletti e baionette nasce su iniziale sollecitazione di alcuni amici intenzionati a realizzare un evento che chiudesse i festeggiamenti del centocinquante-simo dell’Unità d’Italia.
È stato mio intento realizzare una drammaturgia né celebrativa né didascalica ma che ambientata nell’oggi, collegasse il passato al presente, alla nostra possibilità di essere donne, uomini, cittadini protagonisti.
Alcune parti del testo sono recitate e altre, quelle di rievocazione, lette a leggio perché sul palcoscenico prenda vita tanto una dimensione di immaginazione quanto di memoria storica.
Consapevole delle controverse interpretazioni della vicenda unitaria e post–unitaria, ho scelto di valorizzare gli aspetti di tensione civile ed emancipazione sociale incarnati da donne eccezionali di cui poco viene tramandato.
Donato Di Poce, L’avanguardia dopo l’avanguardia, anche (critica d’arte), pp. 80, € 10,00
L’Avanguardia dopo l’Avanguardia, anche è una lettura illuminan-te dell’Arte Contemporanea in corso, (da Dangelo a Kaleghpour, da Manara a Mattiacci, da Crisanti a Bencini, da Casiraghi a Col-naghi ) con un approccio interdisciplinare simultaneo e poetico, nella linea critica Apollinaire, Breton, Restany, Villa, Schwarz.
Autori affermati che riallacciano i fili della memoria e quelli del desiderio, curiosi e attenti alla realtà ma che coltivano il fantastico, e l’invisibile, protagonisti di una nuova polis estetica, e giovani me-no conosciuti, che continuano coraggiosamente a “cercare del nuo-vo”, e di vedere e far vedere l’invisibile, dopo, nonostante e oltre le Avanguardie Artistiche del ‘900.
Una critica d’Arte in ascolto attento del respiro del mondo e sulle tracce del contemporaneo ( Poesia visiva, Arte delle donne, Arte Compatibile, visioni aniconiche e adimensionali, vetrate, fumetto, ecc…).
Tra le pagine si snoda ininterrotto un confronto con gli Artisti (vi-sti molto da vicino e dentro le loro poetiche, i loro Atelier e taccuini segreti) e un dialogo ideale a distanza e con le riflessioni estetiche soprattutto di Arthur Danto (Dopo la fine dell’Arte), Rosalind Krauss (Reinventare il medium) e George Didi-Huberman (Il gioco delle evidenze).
Loredana Magazzeni, Dentro la scrittura (interviste a 10 poete italiane), pp. 56, € 8,00
Le dieci interviste qui presentate furono raccolte fra il 2000 e il 2005 per alcune riviste letterarie (Le Voci della Luna, Versodove, Atelier online, Leggendaria). In questo ultimo ventennio la poesia prodotta dalle donne ha moltiplicato la sua presenza per qualità e numero di autrici, raggiungendo una maturità e un’eccellenza maturate come metalli preziosi nel crogiuolo del secondo Novecento. Dalla prima antologia curata da Biancamaria Frabotta, Donne in poesia (Roma, Savelli, 1976), studi specialistici ed antologie hanno avuto l’effetto moltiplicatore di allargare sempre più la conoscenza e l’apprezzamento per la scrittura delle donne. Credo nella novità di una “critica affettiva”, che sia in dialogo articolato e costante con l’altro/a e che si serva di “un’attenzione insieme testuale e relazionale”, “scientifica e appassionata”.
Questo modo di fare critica tiene conto dei corpi e delle vite dentro le parole, le contestualizza all’interno di un’epoca e dei luoghi, fedele e grato alla voce originale di ciascuna, che però sa far risuonare all’interno di sé. Così come ciò che ci attraversa, ciò che leggiamo o abbiamo letto, visto o lasciato, le persone che abbiamo incontrato, i padri e le madri terrestri e celesti che ci hanno nutrito, parlano ancora attraverso la nostra scrittura, di questo narrare interiore raccontano le interviste qui riportate, ancora spero fresche e vive d’esperienza.
Fiammetta Giugni, Carmina flammulae (poesia), pp. 88, € 14,00
“Max Jacob rimproverò al grande scrittore, poeta e filosofo Edmond Jabès di esser capace di scrivere centinaia di pagine senza che mai vi comparisse la citazione di un utensile quotidiano, di una qualche cosa, concreta. Solo giocando, magistralmente, con termini astratti. Tutt’al contrario, nella raccolta qui presentata. Ma nulla in questa poesia è concessione alla banale opposizione di sentimento e pensiero. La «misura della terra» è misura di questo inscindibile rapporto, vissuto nel dramma della slogatura, della reciproca incommensurabilità e insieme della reciproca necessità.
Solo nella invocazione che venga il vento e spezzi una unità compatta, granitica, autosufficiente di un pensiero strutturato con spigoli duri (così in una delle poesie), giacché la sostanza è troppo dura per contenere il senso.
Molte sono le vie umane dei saperi, delle espressioni, del fare attraverso le quali il senso viene cercato e creato: nessuna migliore di altre, nessuna senza le altre. Offerta ci viene qui, nella specifica declinazione poetica, la grazia originaria della parola che di sé può dire: «ma io sono la lingua/del sodalizio/la destinata a dire/la madre feconda del nome/io sono la creativa della glossa a commento/la nota intonata», e lo può dire in forza di «un refuso di grazia sulla punta della lingua nuda».”
M. C. Bartolomei
“L’anima di questi versi è pertanto l’anima montanara, abituata al rigore del clima, delle condizioni di adattamento, capace di vibrare alla bellezza semplice e grandiosa della natura, abitandola come si abita un santuario, un luogo di antica magia. A questo rigore già alludeva Abramo Levi nella sua prefazione a Logotelìa, la prima raccolta di Fiammetta Giugni, quando scrive che la sua poesia “potrebbe essere rappresentata da quel filo a piombo con il suo peso finalistico verticale che incrocia con il filo a piombo orizzontale dello sguardo”. Abramo (altro grande animo montanaro), con la sua sensibilità acuta e attenta, ci sta bene anche in questa raccolta: aveva uno sguardo lungo ed ha visto lontano, col filo a piombo del suo sguardo, perché la costante della poesia di Fiammetta è proprio questa – ed egli l’aveva intuita già allora.” G. Lucini
E. Passannanti, S. Bettuzzi, M. Fresa, Tre saggi in onore di Franco Fortini (saggi), pp. 56, € 8,00
Il modello del commento consente di perseguire analisi che dal particolare conducono all’orizzonte più ampio dell’opera, ed è di grande interesse poter confrontare gli esiti delle diverse letture, come avviene nelle pagine che seguono. Senza entrare nel merito si può osservare che, del terzetto, quella di Erminia Passannanti si segnala per la maggiore consapevolezza dei nessi interni all’opera di Fortini, in senso lato (per i numerosi e densi riferimenti al saggista) ma anche per quanto attiene più propriamente al discorso poetico: la Passannanti, oltre a cimentarsi con l’interpretazione dei versi fortiniani ormai da diversi anni (rammento l’ampio lavoro sulla Poesia delle rose), è poeta di vaglia, e non stupisce pertanto la sua capacità di tradurre gli elementi linguistici entro una cornice complessa, che si avvale di una ravvicinata indagine di ordine psicologico-esistenziale. Ma anche le altre letture aprono, fruttuosamente e quasi rapsodicamente, una pluralità di piste, ognuna seguendo un itinerario che incrocia altri autori, talora in modo sorprendente e sempre con ragionata passione. Sono perciò davvero partenze anche questi saggi, con quel tanto d’inaugurale, di proiettato sul futuro, che a buon diritto compete al provvisorio congedo e alla «mobile speranza» di Fortini; ed è un modo appropriato di cominciare, per una iniziativa così opportuna e benemerita come quella avviata dagli organizzatori del Premio. Luca Lenzini
Franco Toscani, “L’azzurro della scuola degli occhi”. Terra e cielo di Hölderlin e di Heidegger (filosofia), pp. 56, € 8,00
Il breve saggio di Toscani, inaugura la collana “Polimnia” di CFR, dedicata alla saggistica filosofica.
L’ “azzurro della scuola degli occhi” è un verso di Hölderlin che nasce dallo scorgere l’intimità profonda fra i mortali, la terra, il cielo e il sacro/divino non metafisicamente intesi. In cammino con Hölderlin e con Heidegger, oltre il loro stesso orizzonte, si tratta anche per noi – se ne saremo capaci, arginando l’attuale strapotere della ratio strumentale-calcolante e la minaccia del nichilismo – di imparare a pensare e ad abitare da questa “scuola”, di accogliere ed esperire in noi l’unità di tutte le voci del destino. La posta in gioco è l’essenza e il destino stesso dell’uomo, delle cose, del mondo e della verità. La desertificazione della terra avanza, ma non è ancora giunta al suo compimento.
AA.VV., Retrobottega 2 (poesia), pp. 216, € 18,00
Sulla scorta della precedente “Retrobottega”, anche per il 2012 abbiamo curato e allestito questa nuova antologia, dedicata a poeti a nostro avviso validi, ma che non hanno spazio nell’editoria.
I nomi sono stati scelti dopo l’attenta osservazione di prove che sono state inviate al concorso Turoldo e al concorso Fortini. 36 autori sono stati invitati ad aderire a “Retrobottega 2” e 12 vi hanno fatto parte. Si sa infatti, che nei concorsi letterari, anche quelli più seri, non tutti possono giungere ai primi posti, anche se la qualità delle opere presentate è eccellente. Per chi organizza concorsi, come il sottoscritto, non è facile rassegnarsi al verdetto della giuria che è costretta, per forza di cose e suo malgrado, a “tagliare”, a de-cidere.
Questo, per dire che “Retrobottega 2” non è un’antologia composta di testi e nomi rabberciati e per puri fini commerciali: è nostra cura, infatti, salvaguardare prima di tutto il lettore offrendo testi che, al di là dei gusti personali, siano validi. CFR non è infatti un editore che pubblica chiunque “purché respiri”. E non potrebbe essere altrimenti, almeno per coerenza con le cose che da anni andiamo dicendo.
Anche qui, come nel precedente tomo, il lettore troverà stili molto diversi ma con la necessaria introduzione critica, che gli permetterà di entrare nella logica delle tematiche e dello stile di ogni autore, di comprendere le “sue ragioni” e il perché delle sue scelte stilistiche e tematiche: vogliamo, anche qui, prendere le distanze da quelle raccolte antologiche dove nulla è introdotto ma tutto viene lasciato al caso.
Giuseppe Pedota, Dopo il moderno, Saggi sulla poesia contemporanea, a cura di G. Linguaglossa, pp. 120, € 13,00
“Credo che la poesia degli ultimi due decenni del Novecento debba esser catalogata in questo quadro problematico, in quelle linee di forza che si dispiegano all’interno del minimalismo producendone una implosione tematica e stilistica, e all’esterno di esso una invasione di elementi allotrî quali le istanze narrative. Fa ingresso in poesia in modo massiccio il linguaggio saggistico. Le istanze critico-saggistiche prendono il posto lasciato vacante all’interno della forma-poesia. Il pensiero poetante riceve così una sorta di «inquinamento» e di «impurità», con la conseguenza che gli esiti poetici vengono contrassegnati da un mix di elementi spuri e allogeni. La poesia contemporanea diventa così il luogo dove si incontra una mixture di prosa e poesia, di poesia e filosofia, di poesia e saggistica, poesia e reperti di esistenzialia. Il luogo della poesia diventa una zona «contaminata» da linee di forze stilistiche eterogenee e contraddittorie. L’esperienza vissuta si incontra con l’esperienza virtuale e gli esiti stilistici si ramificano e si suddividono in una rete di derive epigoniche, dove le esperienze biografiche allignano in una «zona franca», in una zona di diretta contiguità con le esperienze «astratte» colte come un flash sullo schermo bianco dei minimalia. Il linguaggio del quotidiano viene ad esser contaminato da sintagmi «alti» a carattere elegiaco-iperbolico, oppure da fraseologie appartenenti al piano del linguaggio cronachistico. Fanno ingresso in modo massiccio in poesia i reperti della cronaca quotidiana.” G. Pedota
Gianmario Lucini, Monologo del dittatore, pp. 104, € 12,00
In particolare, se (doverosamente) si vuole la pace, occorre anzi tutto rovesciare le priorità della politica e dell’economia, ponendo finalmente al centro le persone, le popolazioni (e gli altri esseri viventi); investendo sulla solidarieta e sulla cooperazione a tutti i livelli; promuovendo una effettiva politica di giustizia; impegnandosi a difendere e gestire correttamente i (tutt’altro che illimitati) beni comuni globali di cui (ancora) disponiamo, beni come l’aria, l’acqua, l’energia, la terra. Ma prima e sopra tutto – se è vero che «non esistono “grandi guerre” ma solo il disonore dell’uomo che diventa un bruto» (G.D. Mazzocato) – occorre ripudiarle a tutti i livelli, investire sulla prevenzione dei conflitti e sulla loro soluzione nonviolenta, tagliare le spese militari, contrastare i traffici e il commercio delle armi, riconvertire l’industria bellica.
Istanze fondamentali quanto ineludibili. E percorrono con l’urgenza della necessità questa nuova silloge di Gianmario Lucini, da sempre postato in prima linea nel praticare sostenere diffondere un nobile (onesto) sentire e agire.
Tutto l’orrore delle battaglie: il clangore delle armi, i corruschi barbagli, le urla furiose dei combattenti, il frastuono dei carri, il nitrire disperato dei cavalli madidi di schiuma, il suolo intriso di fumante cruore. E ancora: la violenza inaudita delle stragi o l’insoffribile logoramento delle trincee; le efferate distruzioni o le sterminate devastazioni prodotte da cannoni e bombe; l’abominio dei campi di concentramento o le vessazioni della prigionia: questo e altro ancora si affolla in versi densi e poderosi, dai quali risuona fiera (e ferma) la condanna nei riguardi delle infinite migliaia di responsabili del passato e del presente. Letizia Lanza
Manuel Cohen, Winterreise, la traversata occidentale, pp. 152, € 13,00
“Traversata” dunque, ma nella cultura, dentro tutto il rimosso della cultura contemporanea. Significa insomma che l’intenzione del poeta, (che diverrà sempre più chiara nel corso delle undici sezioni, così come accresce l’intensità emotiva ed affettiva e lo stesso “ritmo”, a volte, della prosodia) non è quella di sottoporci l’ennesimo quadro storico–generazionale, ma piuttosto quello di rilanciare, sul piano culturale, proprio il rimosso, la pigrizia mentale di almeno due generazioni e dei nostri giorni. Ossia il dovere civile del poeta, il ruolo stesso della poesia nella società, già dagli esordi della poesia epica e tragica. L’intenzione è quella di andare a scavare dentro quei nodi, attualissimi e ancora irrisolti, che la cultura non vuole affrontare perché sono scomodi, veri e propri “scheletri negli armadi” della letteratura (e della poesia in particolare) dello “stile di vita” occidentale, del potere, della politica, e così via. L’intenzione è anche quella della resistenza, ma per nulla remissiva. […] Ma forse, più che forza ideale, debbo qui parlare di una sua puntuale “testimonianza alla verità”, sia pur soggettiva, ma senza remore e con grande coraggio. Testimonianza che non si esaurisce certo in se stessa ma diventa, man mano che il libro si sviluppa, vera e propria collera, esplicita e ritmata dalla fonoprosodia, voglia di reagire, istigazione alla ribellione, ben al di là dell’impegno etico e civile di “dire la verità”. Cosa che manca a troppi poeti, che si appagano nel produrre una poesia, se non di consenso, almeno di “non detto” – la poesia del taciuto, del fra parentesi, del rimosso, appunto. Il testimone non cerca il consenso o l’approvazione: è impegnato dal giuramento, di “dire quello che sa”, al di là del fatto che piaccia o non piaccia, procuri plauso o magari sotterranei rancori – cosa frequentissima nel mondo delle lettere, popolata da insopportabili narcisi e disumanizzata dalla sua autoreferenzialità; o che gli procuri anche una chiusura ideologica a causa della sua chiarezza e delle sue accuse senza remore ai poteri e a chi li incarna (si veda ad es. le sezioni IX e X)
Dotato di tale equipaggiamento, il canto sgorga naturalmente alto e, direi, profetico, nella scia del profetismo laico pasoliniano (che permea in buona parte lo spirito di tutto il poema), condiviso con altri che, pur senza nome o appena riconoscibili per fugaci indicazioni disseminate nei testi, colloquiano col poeta sul basso ostinato della sua proposta critica, in veri e propri dialoghi poetici.
Una poesia forte dunque, segnata qua e là da una vena generazionale (in modo particolare nella terza sezione), che vuole mettere il dito nella piaga perché è dal riconoscimento del fallimento che può nascere una migliore avventura, umana e letteraria (si veda la feroce invettiva di tutta l’ultima sezione).
Cohen, peraltro, è conscio della vocazione piazziaiola di tanta poesia civile, gridata, a volte sgraziata, prolissa, sopra le righe, non di rado sciatta nel linguaggio, imprecisa, spesso ideologica e giacobina. Da critico raffinato si pone dunque anche il problema dello stile e lo affronta in maniera rigorosa, senza uscire mai dalla tradizione di rigore e ricerca della migliore poesia. I ritmi che preferisce sono quelli dell’endecasillabo e del settenario; la fonoprosodia si arricchisce di allitterazioni, di rime interne, di effetti lungamente cercati nel lavoro di lima, guardando alla migliore poesia del secondo novecento. Alla facile soluzione affabulatoria, alla prolissità, Cohen contrappone il rigore semantico e una concisione a volte esasperata e densa di allusioni, ma mai monca. Alla parola banale egli preferisce la parola precisa, capace di dire quello che vuole dire e non “più o meno” un certo significato. Uno stile, dunque (apparentemente) castigato dalla forma chiusa nelle ottave, nella rima, ma dalla densità di contenuti molto rara, nel panorama odierno. G. Lucini
Lucetta Frisa, L’emozione dell’aria, pp. 88, € 12,00
La nuova silloge di Lucetta Frisa è, evidentemente, un omaggio alla musica della modernità, dal Rinascimento, con Tomàs Luis De Victoria e Frescobaldi, fino alla musica contemporanea, col grande svizzero Olivier Messiaën e il fenomeno culturale che Strawinslij considerava la vera novità nel campo della musica contemporanea, ossia la musica afro-americana. “L’emozione dell’aria”, chiama l’autrice la musica, o, nella poesia Basso continuo, “desiderio senza parole” sottolineando così la parentela spirituale della sua poesia (che sarebbe, pertanto, il “desiderio con le parole”) con vocazione innata all’universalità e di totalità (di adesione ad essa) e pertanto si deve intendere, per “desiderio” quel sentimento di espansione capace di sopperire ai limiti e alla pesantezza della materia, del corpo, per realizzare in sé una pienezza già oltre-esistenziale.
Enrico Maria Di Palma, Dalla parte di Huáscar, pp.72, € 10,00
Ci troviamo, pertanto, di fronte a una poesia dove dal verso molto raffinato e molto personale, solo in parte debitore al linguaggio della musica, e forse da controllare meglio in talune costruzioni gergali un po’ disinvolte – anche se, a rigore, non ci stanno poi tanto male nell’orizzonte complessivo della lingua e del senso, ma ci sembra conferiscano al (raffinatissimo) stile una nota un po’ equivoca.
L’ultima sezione della raccolta, intitolata Viale Monza, Calibro 18 (Viale Monza è probabilmente la via nella quale abita il poeta-studente) si compone di due spezzoni di un poemetto che il poeta ha ancora in itinere. Troviamo un monologo iniziale, esilarante e amaro, nel quale il poeta racconta un “fisicissimo” risveglio mattutino, e di una seconda parte, che descrive una fantastica e irreale passeggiata per Milano. Viene in mente, Joyce, in qualche modo, e i pensieri scardinati di Mister Blum che si aggira per una Dublino irreale. Questa sezione stacca, mi sembra, dalle precedenti cinque, per l’intensità espressiva e per lo spessore, anche se le tematiche non sono dissimili. Di Palma cerca insomma di costruire un poema sull’uomo moderno, sul senso di vuoto, di inanità. di precarietà e di insignificanza, nel quale si dibatte la nostra esistenza inurbata e stordita dagli anestetici della cultura di massa.
La reazione è un ritorno al corpo, alla fisicità, alla decostruzione di tutti gli intellettualismi che dissacrano gli ultimi barbagli di libertà mentale e ci consegnano a un sub-umanesimo sempre più becero e vuoto. C’è l’eco della politica, della cronaca, dell’oggidiano.
In conclusione, mi sento di affermare, con sicurezza che siamo di fronte a una poesia già forte, già adulta, altro che “giovanile” e tanto meno “esordiente”. Sarà pure “opera prima”, ma di tutto rispetto, a prescindere dall’età del poeta.
Cesare Oddera, Niente parole d’amore per un fucile, pp. 80, € 10,00
Oddera insomma, tematizzando l’area degli affetti più profondi, dell’amore e a volte di un sottile erotismo, racconta un modo di vivere, una società ancora non contaminata dall’alienazione della cultura di massa, perché affonda saldamente le sue radici nello spirito popolare e contadino della provincia italiana – non importa se delle montagne del savonese dove egli abita, o di qualsiasi altra provincia – che non è ancora intruppato nei ritmi e nelle situazioni spersonalizzanti dell’inurbamento ed è ancora capace di quello sguardo vero, di saggio animale, che si riconosce nel rapporto con la natura, nei rapporti diretti con le persone delle quali condivide la vita, i pensieri, le abitudini, perché le incontra tutti i giorni ed ogni giorno scambia con loro una parola, un gesto di solidarietà.
E’ dunque una poesia che ha un abito mentale “altro”, velato di leggerezza e di sottile gioco umoristico, capace di andare però nel profondo e cogliere le situazioni umane più autentiche e anche qui, certo, la difficoltà di vivere, ma affrontata con animo positivo e, tutto sommato, con una forza interiore che ancora attinge al coraggio, a una visione positiva della vita, orientata a un futuro.
[…] Prendono forma, quindi, racconti in versi, che peraltro non cercano la sinteticità del linguaggio poetico ma si abbandonano al flusso della narrazione anche se, molto di frequente, troviamo improvvisi guizzi di segno contrario, ossia di straordinaria eleganza e concisione, specie a chiosa di particolari momenti della narrazione, per arrestare un flusso che potrebbe, se non controllato, appesantire la lettura. Si tratta, in altre parole, di una scelta stilistica che privilegia l’immediatezza della comunicazione (anche per la scelta di un lessico preciso ma mai ricercato) ma nello stesso tempo tiene un occhio bene aperto sull’economia del linguaggio e sull’esigenza di stabilire un confine preciso fra prosa poetica e poesia, a favore ovviamente di quest’ultima. La poesia di Oddera va perciò contro corrente, agli estremi opposti da un lirismo vatico di retaggio novecentesco, ma nello stesso tempo non colludente col suo opposto, ossia una poesia ingrippata nella nevrosi dell’incomunicabilità o assorbita nello sperimentalismo linguistico, regalandoci così l’immagine di una bellezza viva, carnale, a portata di mano e di parola.
Annamaria Bonfiglio, A cuore scalzo, La vita negata di Antonia Pozzi, pp. 24, € 4,0
Attraverso un esame dello scarso materiale a disposizione degli studiosi, l’autrice ricostruisce la breve e tragica vicenda umana, di Antonia Pozzi, cercandone una traccia e una testimonianza nella sua stessa poesia.
Un saggio interessante per capire il sostrato emotivo e sentimantale di questa sfortunata ragazza milanese, vittima della mentalità del tempo, più che della volontà dei genitori, e vittima della sua stessa condizione borghese, che la vincolò a un decoro sociale imposto dai costumi del tempo, al quale la giovane Antonia cercò sempre di ribellarsi, sino al crollo che la portò al suicidio.
Marco Ratto, L’influenza della televisione nella poesia contemporanea, pp. 16, € 3,0
L’autore riporta le sue personali impressioni, da cultore della poesia, sul ruolo che la televisione ha avuto anche nella pratica della stessa, suggerendo nel contempo un utilizzo del mezzo televisivo anche nell’ambito della poesia.
Non vi è una presa di posizione a favore o contro il ruolo della televisione o un giudizio di valore “pro” o “contro” il mezzo televisivo, ma una serie di personali considerazioni, sul cambiamento culturale che la civiltà delle immagini ha prodotto e, fra le righe, l’invito a cogliere il cambiamento come un’opportunità, perché non abbiamo altre strade se non quella di capire il cambiamento e tentare di governarlo o almeno di influenzarlo.
Arnold de Vos, Argilla e peccato, pp. 80, € 10
Se, come disse Saba “ai poeti resta da fare la poesia onesta”, con assoluta certezza possiamo inscrivere il nome di Arnold de Vos nel numero di coloro che hanno naturalmente in sé questa istanza. Una affermazione, quella di Saba, che potrebbe avere diverse chiavi di lettura; per chi scrive la stessa suggerisce un’autenticità che non può essere ricercata e senza la quale la poesia non esiste.
La vocazione della verità non manca al poeta, che afferma peraltro soprattutto la verità del corpo: noi possiamo mentire, il corpo non mente. Ma sarebbe riduttivo parlare della poesia di de Vos solo in questi termini, non è soltanto poesia onesta, questa. Complessa, incentrata sul sé, ma ben lontana da ogni ismo, è poesia che richiede un’attenzione particolare al lettore; una poesia dove sacro e profano ora si fondono ora sono in antitesi con una naturalezza che può provenire solamente da un’esperta conoscenza del mezzo lirico, nonchè da una profonda cultura. L’autore guarda senza infingimenti e con intelligenza i fatti della vita e li trascrive in poesia con la sicurezza di chi in essa crede come in una strada da seguire perché illumini di nuova luce quel poco che è dato all’uomo o, come dice il nostro, come a quell’eterno che torna sui suoi passi. Il poeta pare non avere altro luogo da abitare che la poesia, o meglio, il momento della poesia, alimentato dalla presenza dell’essere amato: La magnificenza del tuo corpo/ dà potere immaginifico alla mia poesia. Totalmente estranea al lirismo, la voce di De Vos parla di angeli con un’ala bianca e un’ala nera (torna la dualità caratteristica di questo libro), di corpi e statue, del soprannaturale con un linguaggio colto e raffinato.
Linguaggio che impegna il lettore per la ricercatezza dei termini usati; del resto l’autore è un filologo e qui vale il detto di Platone: “tutto ciò che è bello è difficile”. Da una sinopia di teta veleta di pasoliniana memoria emerge una poesia prevalentemente d’amore, carnale e spirituale, dove il corpo e l’anima sono protagonisti e si fondono in versi che trattano l’amore in tutte le sue declinazioni, compreso un erotismo mai banale o volgare, ma raffinato e coinvolgente. Per de Vos il sale della vita è l’amore, ma non solo d’amore tratta questo libro. Vi è un risvolto di amarezza che si evidenzia in alcune poesie, un’amarezza derivante da una sorta di emarginazione che l’autore sente pesare su di sé per le sue inclinazioni sessuali; esemplare mi pare la poesia O Absalom con una chiusa molto bella che accenna, come in altri testi, a Dio: agli occhi del mondo dalle fedine pulite/ emesse da un Dio stellicida imputabile di stillicidio. Liliana Zinetti
AA.VV., Poeti e poetiche – 10 autori contemporanei presentati con 10 saggi critici da Gianmario Lucini, pp. 192, € 15,00
Gli artisti che il lettore trova in questo volume, sono in parte noti e in parte poco conosciuti. Vi sono casi di artisti ancora giovani, vi sono casi di artisti di lungo corso, ma tutti hanno apprezzate pubblicazioni alle spalle. Sia gli uni che gli altri possono essere più o meno conosciuti al pubblico: la notorietà di un poeta non è proporzionale alla sua bravura ma a una infinita serie di variabili esterne al processo di creazione. Non ho pertanto adottato, nella mia scelta, un criterio particolare, anche perché la scelta di inserire o no un nominativo, nel caso di questo volume, passa spesso attraverso una personale conoscenza dell’artista e inoltre deve, per ovvi motivi, essere condivisa dagli interessati.
Ma soprattutto vorrei sottolineare che l’obiettivo di questa opera è quello di additare una serie di diverse poetiche che circolano nella nostra cultura, non quello di presentare ai lettori alcuni poeti: se questo fosse l’obiettivo, il libro sarebbe inutile, perché dovrebbe essere pensato in un altro modo. Ho insomma l’ambizione di presentare al lettore, alcuni diversi modi di “vedere il mondo” nella poesia italiana contemporanea e, insieme, fornire alcune chiavi di lettura per l’opera di questi ma anche di altri autori, che esprimono poetiche simili a queste. In un successivo volume (o forse più di uno) cercherò di ampliare questo elenco e di presentare altre poetiche.
[…] Ma l’intento di questo libro è, anche, quello di consentire al lettore di costruirsi una mappa, una piccola mappa che egli stesso poi, nel tempo, completerà, consentendogli nel contempo di allenare quello sguardo critico e quella attenzione sbilanciata verso il ”pensiero poetico” che qui voglio proporre, in spirito anche polemico con la critica che troppo si sofferma sugli aspetti tecnici, sulla struttura dei testi, sulla bravura di “mestiere” – che, sì, sono molto importanti, ma non lo sono quanto il “pensiero” dell’artista, il suo sguardo sul mondo, perché quelli sono gli aspetti che sono il cuore della sua proposta, della sua “intenzione” comunicativa. Infatti, le questioni tecniche riguardano una ristretta schiera di lettori, che per la maggior parte coincidono con i critici: al semplice lettore, che nella poesia “cerca” qualcosa che lo riguardi, poco interessano questi aspetti, che invece sollevano, nel campo della critica, vere e proprie guerre di religione, con tanto di morti e di feriti.
[…] Ogni poeta ha poi inserito, su mia richiesta, una silloge di 6 / 12 testi, in modo che il lettore possa subito rendersi conto della scrittura di un certo autore e decidere, se vuole, di approfondirne la conoscenza leggendo altre opere. Di conseguenza, è stata inserita anche una bibliografia con i riferimenti editoriali; ovviamente le opere meno recenti, saranno reperibili con maggiore difficoltà o addirittura irreperibili, ma almeno quelle recenti si possono ordinare su Internet o tramite il proprio libraio.
AA.VV., Ai propilei del cuore, pp. 72, € 6,50
Si ammazza (a Firenze, novembre 2012) perché all’assassino non piace la pelle scura della vittima, si incendiano i campi Rom (Torino, novembre 2012) perché una ragazzina dice una bugia, si picchia un vecchio Rom per strada (notizia di oggi) chissà per quale motivo. L’Italia scopre sempre più anche un volto razzista e xenofobo. Apriamo gli occhi, non siamo tutti “brava gente” ma anche nazisti e fascisti “dentro”, oltre che lacché e mafiosi, prepotenti con i deboli e vigliacchi con i forti (non si muove un dito contro la politica, la finanza, le lobbies, le Multinazionali, che ci hanno ridotto sull’orlo del baratro). Per emendarci dobbiamo riconoscerci anche in queste vesti, di meschini e vigliacchi.
Gli intellettuali non possono stare a guardare e i poeti non possono soltanto cantare gli spasimi dei bei capei biondi o tutto quel ciarpame che fa rima con cuore amore e dolore.
Non se ne può più dell’ipocrisia della poesia rampante e vincente, la poesia perfettina, i petits rien dei quali si vanno infarcendo libri, riviste, rubriche televisive e radiofoniche, librerie, edicole, siti web.
Non se ne può più di una poesia crudele, che gode per se stessa, soffre per se stessa, se la canta e se la dice e nessuno l’ascolta.
Vogliamo una poesia per la gente. Per questo abbiamo ideato questo libricino di 72 pagine, fresco di stampa, che contiene il condributo di una cinquantina di poeti che hanno dedicato i loro versi anche alle brutture (finalmente) e non alle bellezze melense di questa decrepita e irritante civiltà dell’egoismo e del sogno edonistico che non vuole morire, nonostante il disastro che sta sotto gli occhi di tutti. Vogliamo una poesia vera, che parla di cose che stanno al mondo, non il prodotto di masturbazioni estetizzate.
“Ai propilei del cuore” è il titolo-messaggio di una poesia di Arnold de Vos contenuta nella sua ultima raccolta “Argilla e peccato”. A questa sana provocazione hanno risposto più di 50 poeti. Ed ecco il libro, antiletterario forse, ma certamente alla ricerca dell’umano – e noi abbiamo bisogno di umanismo e di verità, per vivere insieme, prima che di letteratura o di “letterarietà”.