II Premio Gianmario Lucini. I risultati della Sezione A – raccolta inedita
Primo classificato
Giuseppe Nava
da Le attese
tutto è pronto nel nido dell’albero
fiduciosi del favore delle lune o delle maree
e cresce geometrica la forma e il dettaglio
e si affina l’astronomia della tua posizione
svelata dalle impronte che svaniscono sulla pelle
crescono e pesano gli strati delle promesse
delle previsioni e delle rassicurazioni
comprimono la gabbia ed il respiro
spostano gli organi, i baricentri sballati
ma ogni volta che t’alzi si accende il mondo
non dicono che pure il corpo si dirada
asciugato nella ghiaia, appeso al cavo di metallo
quanto del mondo è davvero taciuto oppure sei tu
compresso gradualmente a un tendine unico
a una grande cartilagine
Secondo classificato
Giovanni Tuzet
da L’avversario
Bebelplatz
Cercavo tre cose distinte: dei libri
che parlassero di te in una lingua spenta;
una chiesa dove al buio
posare e sentire la luce;
dei bunker o brandelli di muro
per avere alle nari la polvere
dell’ostinato.
Invece, benché in progress
ho trovato una limpida piazza
e da una gru, canarina, suoni
da fermarsi e guardare in cima
vedendo un numero biblico
d’uccelli di varia specie e dimensione
accorgendomi allora che il cielo non è altro
che il loro concerto:
verso il tramonto corrono al metallo dei rami
e in file perfette preparano il dormire
senza una pausa di note finché dura la luce
e piccoli gruppi vengono e vanno da altre
altezze ma tutti attirati, come avessero
una fibra di ferro, dal cuore di magnete
s’infilano nel gotico degli ingranaggi
come un nido da sempre esistito
a un’altezza proverbiale, celeste,
celata ai sordi e che vale
tutti i dorsi, le cupole e i muri
che il mondo trattiene precario.
Terzo classificato
Alessio Paiano
da Memoriale del fiume
DETRITI
I.
Riemerge un tassello sconnesso
che dimenticato ha percorso le piste fluviali
un punto che da niente ha raccolto i detriti
di detti, facce, occhi annegati
e cerca il suo spazio nello stretto della clessidra,
la grande clessidra della memoria
che un giorno capovolgeremo.
II.
Poniamo il caso tu esca,
che tu ti lasci uscire:
attraverseresti le insidie del marciapiede,
volutamente ignoreresti i vicoli
attirato dalla distorsione dell’acqua
che scorre nel tuo orecchio coi suoi secoli di naufragi:
è sempre la corrente che ti chiama,
il suo nevrotico riecheggiare senza scampo.
Tu sei quel tale che sparge il suo nome nell’acqua.
Segnalati
Francesco Aprile
da La forma dei rami
non si volevano fare esplodere i dati,
ma la necessità del mercato. la terapia
non dava i suoi frutti. paziente dopo
paziente, mitraglia per mitraglia, per
cintura una costola d’agnello dei tempi
andati, non di dio, della violenza.
non si volevano fare esplodere i dati,
per cui si lascia da parte la dizione,
l’ostracismo delle zolle, per le macchine,
insisti se puoi oltre l’omero, e accogli
nelle mani tagliate la forma dei rami.
sono le collere dei capitoli accesi
a rimarcare la dose, non si volevano
mica esplodere i dati, ma la necessità
del mercato. insisti se puoi nel fare
il polline, mentre i corpi abbagliati
si armano.
Pierluigi Lanfranchi
da Nomi cose città
Incontri onirici con Iosif Brodskij
IX.
Brodskij a pieni polmoni inala l’aria
della laguna a prua del vaporetto,
la giacca piena di vento, statuaria.
I passeggeri esalano un fumetto
senza testo. Soltanto il suo respiro
non si condensa uscendo dalla bocca.
Ha il sorriso dei principi di Tiro.
In tasca come freccia nella cocca
è infilata la penna, tra le labbra
la sigaretta. Il vaporetto attracca
strusciando il molo con la chiglia scabra,
lascia scendere Brodskij poi si stacca.
Lui guarda l’acqua che non lo riflette.
Cammina tra le tombe a San Michele.
Si ferma, prende un’altra sigaretta,
sfrega un fiammifero sulla sua stele.
Rossella Renzi
da Disadorna Falena
Dimentica il sole che ti avvolge
e cammina nel bosco
con loro, sono i profughi di Lipa
una parola liquida
piedi nudi intirizziti nel fango
sprofondano nel sogno più caldo.
La casa che vedi all’orizzonte
è solo un bagliore della neve.
Beatrice Achille
da Medeatiche
io scurissima notte come ti trattengo
nemmeno pronuncio nemmeno l’iniziale
e già poni e già muovi nel buio il distolto
fino a che non sciogli quel senso di totale
criterio una totale abnegazione aperta
se vuoi non entro a casa non varco la porta
non pulisco più e sporca trovarti cresciuta
uno sguardo e sei già sorta elevata a corona
sole a mezzanotte solo su questa cima
io scurissima notte ti trovo disciolta
covata nel ventre per restare insaputa
e anche chiarificata darsi sempre un’ombra
qualcosa di nascosto promosso dal buio
restare oscura e tanto basta per la notte
il cielo stellato precipita dal cuore e
di solo una parola so essere salvata
Carlo Tosetti
da La teoria del transatlantico
Libro IV – L’addetta all’ufficio reclami
I
Dice la teoria del transatlantico
che cammini un mastodonte per i grandi
numeri a favore e anche quando il male
intacca delle cellule, s’avvale
il colosso dell’utile prodotto
e tiri dritto senza pencolare.
II
Per questo alle doglianze ricevute
– talune irragionevoli, penose –
dai clienti che lamentano i disagi,
lo sostengo, va detto senza ambagi,
l’oblio le attende del cestino, certa,
giusta la teoria creata per le navi.
Sandro Pecchiari
da La diga
19 – non più Virgilio
che il lago assuma il cielo nel grigio di febbraio
che febbraio smunto rinserri uccelli e fiori
di sterrato soffi affanno nei pensieri
snidi paura d’animali o sollievo dalla fame
gennaio bifronte si fissa nell’inverno
ma ora si allunga sotto il sole
ancora freddo in questa luce bassa
non facile riaverti nel tuo vivere ordinato
il non saper dire delle spine sul tuo filo
basta un soffio per lasciarsi andare
anche se in te non vivo né forse vivo
nel tepore delle case erranti
dove vorresti comprensione e cibo /
il lago era l’inizio viola dei torrenti
era prima e oltre il palmo verde tra le case
spalancato alla clausura della pioggia
il lago è ora pronto a naufragare
Maurizio Noris
da In d’ògne ’ndà ol sò fà sito (In ogni andare il suo silenzio)
dialetto bergamasco
malömbréa
T’ó ésta.
Ol mónd a l’ te traersàa,
sidràt,
co i sò mai
e co la piöma di sò caài.
I tò öcc i éra aqua tróbia che brüsa,
févra.
Malömbréa
t’ó ésta.
Ol cör de rösen
la bóca ö tenài
l’ànema a la treìs
e l’incösen,
e i sberlögie sfantade
’n del serài.
Malömbréa
to ma strossàet in giro
tananài
no sìe che ciànfer
no sìe
che sébra.
malaombra
Ti ho vista.
il mondo ti attraversava,
assetato,
con i suoi mali
e con la piuma dei suoi cavalli.
I tuoi occhi erano acqua torbida che brucia,
febbre.
Malaombra,
ti ho vista.
Il cuore di ruggine
la bocca una tenaglia
l’anima alla greppia
e l’incudine,
e gli sguardi disfatti
nel serraglio.
Malaombra
mi trascinavi in giro
canaglia
non ero che cianfrusaglia
non ero
che ciabatta.
Angelo Restaino
da Istruzioni per guardare il cielo
Alba a Portici
Quasi tutti dormono ma gira voce
che abbiano aggiustato il sole.
Il mare è una tavola livida
eppure impregnata di luce
notturna, come i ponti delle navi,
percorse ancora le nubi
da flebili scariche elettriche.
Ristagna sul mondo un’atmosfera
laboriosa di cantiere,
che forse è un’aria di naufragio;
ma è solo l’imminenza dell’alba,
del caldo lento del giorno.
Il mare è una tavola in procinto
d’inclinarsi, obliqua, lasciando
rotolare le barche verso i bordi
come palle da biliardo.
Il cielo spegne le luci d’emergenza,
e atterra.
Claudia Di Palma
da La resa dei nomi
Sarebbe stato meglio non imparare
questa splendida architettura di significati,
questa trappola per i topi. Ma ormai è tardi
e sono imbrigliata nel paradosso della parola.
Resto nella prossimità invalicabile del sangue.
Francesco Tripaldi
da L’individuo superfluo
Drachenfutter 3
Lo abitiamo senza ingombro
quest’enorme spazio – frattura,
questo chiavistello d’anima pura
a bloccare l’ingresso dell’ombra;
aspirare un’estasi esatta
su una guancia di sale,
sussurrare in una spirale disfatta
parole d’oracolo,
scalare crinali cobalto
tra riflessi di luce
nell’alba che gracchia in gola al sole;
un timoroso suono di pace
in seguito ad una disputa
è il concetto di distanza
più affine
a quello di prossimità
che esista.
I risultati della Sezione B saranno diffusi nel mese di aprile
Troppo spesso si intitolano a poeti scomparsi ogni genere di concorsi letterari. E spesso, l’utilizzo vanaglorioso e irrispettoso ha il solo fine di gonfiare il numero degli iscritti e delle quote di adesione, senza corrispondenza sulla qualità della vetrina letteraria. Per fortuna, completamente all’opposto – è facile osservarlo – si colloca questo premio intitolato a Gianmario Lucini, campione di sobrietà, di passione, di autenticità, e sono particolarmente felice di constatarne la bontà dei risultati. Opinione soggettivissima, ovvio, ma potete farvene un’idea leggendone i risultati, accompagnati, con apprezzabile generosità e trasparenza dai testi. Sono sicuro che Gianmario, che fu anche onesto e appassionato organizzatore di Premi di Poesia (per es. il “Turoldo”, il “Fortini” che è stato ripreso di recente) ne sarebbe lieto.