“Vagabondo
rimasi
divorando i miei sogni
nell’estasi del presente celere
moltiplicando echi
nei meandri del passato
ignoto
le mie labbra di vento
schiacciate sulle tue
di pietra”
(Gianmario Lucini dalla poesia Campo grande, in Allegro moderato, Montedit 2001)
Risultati della IV edizione del Premio
Sezione A raccolta di poesie inedita
Primo classificato
Enrico Giacomini
Queste poche parole, in pubblicazione con Vydia editore
E la radio continua a suonare, le guance
a pungere, nel mattino che sbianca la fronte.
Loro fumano, leggono i morti sul giornale,
senza tentare il silenzio.
Perché non durano i gesti, ma queste cose toccate.
Con le mani che cercano, ricalcano altre
mani. Se provano a esistere.
Tu guardali così,
dentro una distanza, non significano niente.
Secondo classificato
Roberto Minardi
La nostra delinquenza
Un signore di successo
se la bottiglia arriverà sana e salva non si sa
le spume sono irritate
re delle nanotecnologie, socio onorario
annulli i moti romantici con una smorfia
sollevi il sopracciglio mentre rumini la matita
fin qui niente stupore, ma se guardiamo il ritratto
cravatta niente, camicia ampia e spalle tristi
quello che Andy si chiama parrebbe un laburista
lo immagini fumare sull’uscio del pub
ma la verità, per quanto relativa, è ben altra
scopri come tratta la moglie, ti senti migliore
tu che tratti te stesso male, malissimo,
noi che dal caos spuntiamo, ci salva lui, neanche quattr’anni
data la ragnatela careful, mamá, papà, you get stuck
la bottiglia io la affido alle acque arrabbiate
a te che le fabbricazioni altrui deridi, che insceni
lo sbuffo con le narici, ti arrivi
l’augurio che un filo si impigli fra i denti
Terza classificata
Lucia Triolo
Dislocazione
nulla da nascondere!
racconta
la donna furtiva che
ti cammina accanto
della sua resa
(quando nessuno vede)
racconta delle squame che perdi,
ti finiscono in tasca i veterinari in pellegrinaggio
sul tuo nome
vogliono aggredirti le maschere del volto
sanno
quante varianti
può avere un lapsus
non cedere di amare
mi sono allontanata
solo per un momento
Segnalati
Lucia Brandoli
Forme
Una volta i sassi raccolti componevano una mappa,
ma gli archivi servono a chi non ha più tempo
per ricordare.
Sono solo un altro modo per esimersi, passare,
costruirsi un sistema per resistere.
Daniele Orso
WASTE HO
Pulcre et sans portra
Quel momento dell’anno in cui, tac,
l’autunno s’abbatte sull’estate seminuda.
Ne mostra già le vampate di calore:
pulcre et sans portra que
le tombeau des h est le
coeur des
estate estate, ch’io ti accompagni nel
falso tuo infinito di eterna/appena-sopravvivente
amistà, siccità di toni e ori e clivi
dici o scrivi sebbene declini il tempo
di altri climi favonii et cetera
consimili e affini
(A Brest, tanto per dirti
di averti pensato mentre passavo
un’estate lontano)
Valeria Cagnazzo
Il libro delle risurrezioni
Il suo corpo abbandonato
offrì nutrimento a una famiglia di farfalle aglaie, lo rivestirono
di un arancione tenero che lasciava scoperchiato
soltanto l’ombelico. Disegnarono la sagoma con un orletto nero,
poi gli deposero le uova dentro agli occhi, confondendoli
per una specie sconosciuta di viola selvatica – questa
chiamiamola trasmigrazione dell’anima, riassunzione
tra le forme senza materia, senza naso. Con quale furore
le anime gentili si dileguano senza disperdersi nel nulla.
L’unica salvezza stava
nella cattedrale – o nell’essere papà, sopra al molo,
a scoperchiare scatolette di tonno.
Tutte queste cose, mio padre non le vide. Imbucò una
cartolina dove scrisse “Otranto, città molto, molto tranquilla”.
Andreina Trusgnach
Kar se zdi – Quello che sembra
Medtem
Gledan se zmislit
kje san pustila telefon
grede ki naša televizija
guori le napri
brez gledalcu
Se šukajo trenutki
se tačajo na laštu
se zaplietajo tu plevele
zažlajfajo
umierajo
Medtem kajšan me je klicu
magar brez tiet
se vie
de moje ime
je nimar par te parvih v varsti
Nel frattempo
Cerco di ricordare
dove ho lasciato il telefono
mentre il nostro televisore
continua a parlare
senza spettatori
Scivolano i momenti
rotolano sul selciato
inciampano nelle erbacce
frenano
muoiono
Nel frattempo qualcuno mi ha chiamato
magari senza volerlo
si sa
che il mio nome
è sempre fra i primi dell’elenco
Marzia D’Amico
Conflitto
Appesi come gesuccrısti alle pareti
dalla collottola, la lotta non si fa
che dividendo l’aria. Che inutilità
è dunque esporsi tanto fermamente
se non ci si muove di un passo.
Andrea Lanfranchi
Trilogia dell’acqua
l’animale fuori dal quadrato
Finita l’asta, caricate sui furgoni le casse,
rimaneva un giorno da consumare nel sonno.
Rimaneva il chiarore della darsena, fuori
dal cerchio degli scambi, dal vocio meticcio
delle gradonate sul mercato – fuori dall’urto
del gelo sulle facce.
L’aspetto primitivo delle cose rimaneva:
l’animale escluso dal quadrato,
e tutto ciò che vi si oppone
– per un diverso senso del commercio.
Rimaneva il tutto mancante di una parte.
Cristina Polli
dimentica, cicatrizza le ombre
Traslochi
Accatastata l’ora, i gesti, il fiato
mi tiene un silenzio di rovine
io come rune
ne raccolgo i segni
benedico la mancata congruenza
la linea di una vita riannodata
la geometria inattesa.
*
Sezione B poesia inedita
Prima classificata
Antonella Sica
Al primo piano l’alba
è una teoria di finestre
straziate dal sonno
l’acqua dondola precaria
sulle grondaie, nell’alveare
di vite a fatica
una malattia di risvegli
silenzio oleoso tintinna stoviglie
il tassista del piano di sopra
urla debiti al telefono
la madre crocifissa striscia
nel vialetto dissestato
bambini saltano
pozzanghere di freddo
è ancóra un gioco
Seconda classificata
Danila Di Croce
Dammi il compito della sentinella,
che lavora di sguardo e che lontano
allunga la spinta, ne fa un elastico
teso a tornare, a restituire
l’orizzonte agli occhi.
Certo, quel punto
frusta attese e illusioni, ma si impianta
sulla retina e rinasce di dentro,
da quel buio che pure chiama vita.
Dammi ancora un nuovo turno di veglia,
perché impari il senso della distanza,
lo zelo che ammaestra l’attenzione,
l’attesa solerte che si fa cura.
E soprattutto il metodo del tempo
che ogni volta impressiona quell’immagine
da capovolgere, da riguardare.
Terzo classificato
Marco Esposito
Il verduraio aveva tredici figli
che dormivano in casse neonate
di pomodori, la nonna mangiava
pane e carciofo quando i fascisti
presero anche la fede nuziale
per il baratto delle armi.
Nei tronchi degli alberi ricordo teste
di serpente grosse come piedi –
si arrampicavano i ragazzi sui pini
che ombravano il belvedere.
Mio padre aveva vergogna della sua casa
dinanzi agli amici senza sapere che oggi
sarebbe stata una reggia. Ma la scala
di pietra con la masseria tutta fu abbattuta
e le armi dei contadini rinvenute
sul terrazzo di cui nessuno sapeva.
La locomotiva di fronte esplose, le fiamme
arrivavano alle voliere e le donne fecero loro scudo
mentre partorienti bevevano brodo di colomba
e i gallinacci riconoscevano la scure vicina
al collo anche se morivano per la prima volta.
Il nonno, anche lui, non voleva andare via –
quando fu venduto il caseggiato
disse, quando fu venduto,
se vado in un’altra casa io muoio.
Ci andammo e accadde dopo soli due mesi.
Lì dove c’era la fabbrica, sembra
strano, c’era anche l’aria.
Segnalati
Andreina Trusgnach
Zima pred cajtan
Hitro gredo napri
z gučan smarti
suhe perja
na poti
zavliečene od vietra
ki nas darži deleč
an ti
za ubit led
mi praveš od tistega jesena
ki že pred cajtan si vidu
bunega an brez peri
an sada je že padu
Inverno anzitempo
Procedono veloci
con suono di morte
le foglie secche
sulla strada
trascinate dal vento
che ci tiene distanti
e tu
per rompere il gelo
mi racconti di quel frassino
che da tempo hai visto
malato e senza foglie
e adesso è già caduto
Marzia D’Amico
Basterebbe tirare un filo di spuma
per srotolare il gomitolo di lacrime
di Andromaca dall’asciutta resistenza.
Immanifesta magnificenza dell’assenza
(lacrimoso velo di tristezza)
– un canto
di cigno ed aragosta. La morte
sta serena nella traccia scavata nella terra
del ricordo sporca-mani per grattare via il dolore.
Il silenzio delle fonti sta
nell’abilità a sfuggire alla ricerca del ridente
invito al banchetto del dolore.
Il silenzio delle fonti è caro
mistero
del comportamento luttuoso.
Silvia Atzori
TRENO
Il riflesso sporco nel finestrino
del sette e sedici con che pietà
ingiusta resta sulla terra e ha l’inerzia
di ottobre e dei ripensamenti.
Non mi conosco in quella che rimanda, è poco più
che un’ecfrasi del sé, l’ennesima
pelle da sacrificare.
La figura sempre più a stento
Sopporta il peso di un nome.
Gli assoluti ci avranno abbandonate
come la carne dalle arance spolpate
sempre più private inconsistenti
sempre meno sempre più ossa occhi
e meno denti.
I pensieri a briglia sciolta
trascinano via l’auriga inesperta
Antonio Francesco Perozzi
Over
L’analista chiama overthinking
ciò che ho sempre spacciato per mio talento:
pensandoli e ripensandoli spappolare gli eventi,
ridurli; esagerare le situazioni
elencando futuri alternativi; sopravvalutare
le mosse degli altri. Credevo essere
una buona strategia di difesa vedere
oltre le cose presenti una sfrangia di segni
ulteriori, di occasioni non casuali,
la perfetta – insomma – orologeria degli astri.
Invece la ruminazione è letale
e clinicamente io apro all’ingresso
di pensieri intrusivi, preoccupazioni brillanti
che mi sfiancano. Nel percorso verso casa
trasformo intuizioni innecessarie in muscoli contratti
delle mani o del viso.
Maria Pia Quintavalla
Sono una nave libica
Sono un nave libica migrante
in rotta,
la sembro e vedo mentre mi parlano
qui dentro il tram serale,
code di cavallo rinverdite da mèches
mi scuotono,
davanti ai gesti che parlano – nel tram;
e i tram corrono circolarmente
su circonvallazioni eterne
di periferia.
Ero una vita in tram, ero una donna in treno
e troppe vite insanamente,
chi spezzate, chi incapaci
a parlarsi, sordo mute.
Adriana Tasin
Croci
giocava con la sintesi di vita negl’occhi, lanciava
sassi piatti in stanze tracciate sul selciato, eppure,
quando cadde lì in mezzo – brillamento di mina –
proprio dove spiccava alto il salto, nessuno accorse
rimase disteso in quella croce
cornice di gesto | paradiso di gesso
come se stesse giocando a campana per l’eternità
Lella De Marchi
IL MONDO E’ UN GRAN BEL POSTO
Non sempre penso ad una mela quando dico mela.
Non sempre vedo la pioggia quando sento la pioggia.
A volte me ne accorgo che esistono parole
che non fanno rumore, che non sparano.
Non feriscono, non uccidono, non rinchiudono.
Parole scampate al silenzio di una stanza, al vuoto,
alle definizioni, alla mia mancanza.
Di uomo, di donna, di femminista, di transfemminista.
Parole che dicono che il mondo è un gran bel posto,
di una storia mai nata, che non si racconta.
A volte me ne accorgo che il mondo è un gran bel posto.
Ma solo quando non penso ad una mela quando dico mela.
Solo quando non vedo la pioggia quando sento la pioggia.
Solo quando penso ad un mondo in cui non si muore più.
Non come muoiono ancora le donne ed i bambini dell’Iran.