I risultati della sezione B del Premio Lucini

Prima classificata
Valentina Murrocu

I.

Stamattina si è sorpresa a fissare
nel vuoto sforzandosi di non vedere
la lampada di design o il piatto della doccia,
si è pensata in questi oggetti per non guardarsi
le mani, la fede al dito, per rimuovere
la pronuncia imprecisa dell’inglese.

Si è detta che tradire è un atto puro,
quell’osservare se stessi dall’esterno,
oppure, corrisponde alla vertigine,
allo sdoppiamento che procede dalle cose.

(Più tardi, un’angoscia come una massa
tumorale aliena, la spesa di sabato,
la maglietta dei New Order
come fallimento generazionale)

La storia universale in Via Tenca a Milano.

Secondo classificato
Alfredo Panetta

L’arti d’a fotografia

(A Lollò Cartisano*)

Mentiri a focu ‘i cosi
esti n’arti antica, ‘i picca usu oji
servinu ogni huornu occhi
novi. Servi ‘a lùcia chi mpila
‘i nivulai, accurrinu ‘i guci ‘i cu
mpaticà a tò stessa terra.

Esti nicessarriu ‘n temphu longu
na distanzia. Ma ‘u temphu teni
‘u sapuri umidu du scuru
nghjiutti ‘i diricati boni
dassa all’orbi frundi mbelenati.

-Eu mu risistu tornu primitivu
nta stu bucu, pregu e sparu
come se fora n’orsu feroci
esti jani chi m’aspetta….
Tegnu inta ‘u rispiru, nnanzi
du corpi d’unghiazza sup’a facci
tegnu inta ‘i penzeri, sperandu
nta na carizza ‘i pethra
e nu basu a sti purza ngruppati
cu cordiceja fina di porceju.

Ndaju a scippari d‘i vìsciari
cusa quali madonna-rmali
chi tegnu chjiusa a chjiavi.

Mu risistu ncuna luna ammata
ncunu flash, arrisi ‘n jancu e nirgu
pe faghuri, stringitivi ammata na nticchjia
guardatu chista màscara
e stati tutti sberti pe nu clic.

L’ARTE DELLA FOTOGRAFIA Mettere a fuoco le cose/ è un’arte antica, in disuso/ servono occhi ogni giorno/ nuovi. Serve la luce che trafigga/ le nuvole, occorrono le voci di chi/ ha calpestato la tua stessa terra.// E’ necessario un tempo lungo/ una distanza. Ma il tempo ha il sapore umido/ del buio, inghiotte radici buone/ lascia ai ciechi foglie avvelenate.// Per resistere torno primitivo/ in questo buco, come se fuori/ un orso feroce m’attendesse…/ Trattengo il respiro, prima del colpo/ di artiglio sulla faccia, trattengo/ i pensieri, sperando in una carezza di pietra/ e un bacio a questi polsi annodati/ con spago di maiale.// Devo estirpare/ dalle viscere/ chissà quale madonna-animale/ che tengo chiusa a chiave.// Per esistere ancora qualche luna/ qualche flash, sorrisi in bianco e nero/ vi prego, stringetevi ancora un poco/ guardate questa maschera/ come gronda di sangue/ e state tutti pronti per un clic.

*Adolfo Cartisano, fotografo di Bovalino detto Lollo, fu sequestrato a scopo di estorsione nel 1993 dalla ndrangheta. Malgrado il pagamento di un riscatto, non venne mai liberato. Il suo cadavere fu trovato 10 anni dopo, grazie alla lettera anonima di un pentito.

Terza classificata
Claudia Di Palma

Ogni cosa è un’incessante disdetta.
Restano parti piccole,
non ulteriormente riducibili.
Abbiamo fatto incetta
di sottrazioni, abbiamo stipato
tutto l’infinitesimale nei bidoni
che a contarlo adesso
quasi quasi fa infinito.

Segnalati
Ianus Pravo

Uno shibboleth per aprir parola
al suo tanfo, I rossa, rire des lèvres belles,
il coltello rosso della mia I,
il rosso, il rosso quasi nero
di melanconico orgoglio
corpo che sente il suo disapparire
mostrandosi nell’altro, nel suo essere
nulla, se il suo permanere nel nulla
nell’altro, nell’essere, fluisce in tutto
ciò che, non fossimo morti, saremmo
stati, eppure essere, essere a mura
di bocche e shibboleth.

Nino Iacovella

da La parte arida della pianura

La notte devia il corso delle povere cose
rimaste abbandonate:
un cartello rotto, un tubo di ferro,
sono ora corpi contundenti
accanto a un volto sfigurato

Rimane l’ombra dell’ultima parola,
la slogatura della bocca
nel silenzio di una terra nuda

Poi la prima luce del giorno
mostra un corpo duro e solo,
quel rosso che ferisce gli occhi
di chi guarda
la fossa mai terminata,
la faccia come un disegno sbagliato
che nessuno riesce a cancellare

2 novembre 1975
Idroscalo di Ostia

Maria Pia Quintavalla

Il mio prossimo libro

Il mio prossimo libro, il prossimo amore,
a loro non voglio lesinare niente
nulla lasciare di intentato, un kamasutra

dell’amore spirituale, ali spiegate
intransigente, che tutto dona e
nulla chiede,
non umile e non vorace ma caldissimo,
amante attuale, atterrato fin qui
agli spasimi del deserto

una zampa distesa al fuoco serale
come suo altare, e come fuoco acceso,
l’altra al collo avvolta a mò di sciarpa,

La speranza non fa difetto a questo sogno
che con le mani e con il sangue
di una vita abbiamo fatto.

Giacomo Vit

II

“Chistis a son li’ àrbis ch’i ài
rincuràt incuoi pai cunins…”
a mi fa la Gegia, trimant
un puc li’ mans sglonfis.
“Se croditu, ch’a sèdin dùtis
compagnis? “, a ghi ten a precisà,
“s’i ti sbagli di ciapàla su,
ti pols faghi mal al cunìn,
ancia falu murì…”
E iò i pensi, alora, intant
ch’i viodi li’ grìspis movissi
tal so cerneli, ch’a è cussì
ancia par me: cuant ch’i vai
tal ciamp da li’ peraulis,
i ài sempri pòura di rincurà
la peraula velenosa
ch’a fa murì la puisia.

II

“Queste sono le erbe che ho
raccolto oggi per i conigli …”
mi fa la Gegia, tremando
un poco le mani gonfie.
“Cosa credi, che siano tutte
uguali? ”, ci tiene a precisare,
“se sbagli a raccoglierle,
puoi far del male al coniglio,
anche ucciderlo …”
E io penso, allora, mentre
vedo le rughe agitarsi
sulla sua fronte, che è così
anche per me: quando vado
nel campo delle parole,
temo sempre di raccogliere
la parola velenosa
che fa morire la poesia.

Alessandra Corbetta

ABCD

Le partenze del sabato vuote
a Milano sono come le attese che abbiamo
di rivederci, e vicino o lontano
sono una cosa — che è meno
precisa — ma adesso chi siamo
è domanda recisa se non ha
più risposta, e nemmeno la fretta
mi assale.

Saranno le 13 e vale un orario
per essere certi di essere pronti
a incontrarci — non era difficile
stare a guardare negli occhi
dell’altro, parlare, uscire e rientrare
dal corpo, toccarlo e vedere
se intorno qualcuno capisce che
cosa facciamo. Ho il viso invecchiato,
come qualcosa di andato
perduto, e segna un ritardo
la voce dell’altoparlante.

Scendo a Firenze come sempre
con la pioggia un’altra volta:
lo scrosciare a filo delle cose
forse, o immagini sparse
sul cellulare e su pagine rare
di qualcuno più bravo di noi

hai parole — cammini
in attesa

Trema
forse l’estate e i binari fanno
ancora rumore. Hai l’odore
di voglia, la bocca sul ciglio
di cose rimaste da dire già
prima che fossero dette – tu
aspetta. Ti va una granita?
Ti va di ridarmi la mano,
fino all’uscita?

Francesco Sassetto
Silvia

La lettura al Bistrot de Venise, le mie poesie di granchi
e laguna, i tuoi occhi mi passavano dentro e poi fuori
insieme quasi notte, della tua storia mi hai detto
ogni granchio ha la sua luna e la tua fu luna scura
luna da acqua alta.

Dieci anni prima il Dottorato, la poesia di Sereni,
ricercatrice di raro talento ti aveva detto più volte
il Maestro nel suo studio accogliente.

Chiude d’un tratto la porta quel Filologo illustre
diventa animale, ti sbrana i sogni e la vita, ti sbatte
sulla scrivania, fruga con le dita, penetra sempre
più forte, questo – te l’aveva detto – il patto
il suo sperma ti sporca le gambe.

Ha poi riaperto la porta, ti ha accompagnata
fino alla fine del corridoio, il vuoto dentro
e davanti la tromba delle scale,
ti ha detto di tornare a casa
non dire niente
hai pensato un istante di saltare.

La tua luna, Silvia, la tua luna sbagliata e l’acqua
che ancora ti annega
ogni giorno risale.

Monica Guerra

*

a Komsomolskaya si faceva
-forse per il freddo-
tra le ombre dei binari i tatuaggi
tra i tatuaggi una bellezza marginale
l’ago spacciato nella vena
su due piedi stringeva gli occhi scarni
per sigillare le porte alle distanze

in un gesto tutto il vuoto necessario

(Mosca, 2016)

Enrico Giacomini

Ecco la gola inceppata, il petto,
l’ansia tenuta nello scarto
tra i corpi.

Si è solo guardati, adesso,
nell’acido dei neon, come un difetto
di luce, qui, sulle tempie.

E questa fila che odio, i referti ancora
a tuo nome. La violenza di sentirsi più forte.

Anita Piscazzi

Lo scompenso delle immagini
a volte si fa riva senz’acqua.

Il ritorno dell’inverno promette
una luce nuova.
A ogni passo vederti, salutarti,
ritornare con niente in tasca.

Sto come ogni cosa che brucia.

Accoglimi Angelo di luce
ho attaccato gli occhi ai mandorli
farò testamento del tuo passaggio.

Sarai sorgente sulle ossa sparse nei mari
sulla morte della viola di marzo.

Rimani. Canta del miele di Aleppo
della giovinezza che resta nei giardini.

Accadi leggero davanti alla porta
eppure se ne va presto la luce, ma
qui non passa e lente vanno le serpi.

Roberta Ioli

La lepre

Disegna una corsa fragile e serissima
a pochi metri di respiro da me
gettata nel cono gelido dei fari
come cieca alla sapienza dello scarto
che riconosce soltanto
al culmine del colle
quando scompare tra il nero dei cespugli.

Anch’io sono la lepre
inseguita da un nemico che non vedo
e se c’è forse una ragione per la mia
ostinazione nella fuga
sfugge però il senso
di quell’andare ottuso in linea retta
come una preda che corre finché ha fiato
quando basterebbe un guizzo
un agile scambio di binario
per ritrovare la pace della notte e le sue stelle.

Viviana Fiorentino

Linee stradali

Tu, madre, guidi, io al tuo fianco -, parliamo, mentre guardo
i bordi

allinearsi con la strada. Frammenti di paesaggio a punti di alberi e cespugli. Tu parli
piano

della fine e della perdita. Io mi volto verso l’altra finestra, la pioggia cade in un’altra direzione,
fuori

dove il vento piega le cose senza attenzione. A te madre, che io
amo,

parlo della borsa che ho dimenticato, e dei libri che non ho ancora letto. Ancora pioggia più
veloce

linee inclinate sul mondo sottostante. Le coincidenze hanno un peso. Volevo
dirti

– mentre tu parli della pietà per noi degli dei, il tuo fato, il mio caso, le nostre possibilità –

ma tu insisti nonostante per pagare quelle spedizioni che ho dimenticato, non vuoi girare alle
rampe

che avremmo potuto imboccare. E mentre tu indichi il punto
dove l’aria diffonde

distante più blu, per generosità del cielo o semplice ostinazione del sole,
i bordi

si allineano tra me e te. Amore per te. Il peso di tutto il tuo

cuore
prima ancora che io lo senta.

Incroci impossibili dove io e tu siamo madre.

Carol Guarascio

Fortezza

Fredda è la luna sul vetro del mare
E lo sguardo selvatico del vento
Graffia la ripida notte che cade.
L’uomo che ha il volto dipinto d’addio
E sotterfugio è distante dall’altro
Una spanna, e sta dritto nella neve.
La vita mangia da dentro la vita
(sarà forse la morte che si sfama)
E invita l’uomo a curvare la schiena,
Prendere i colpi del sogno-aguzzino.
A un tratto la battaglia si fa certa
-È un avatar possente ed addestrato-
Brandisce l’arma, si liscia la skin*,
Mitraglia e piroetta su se stesso.
Fredda è la luna sul vetro del mare.

* Nel linguaggio dei gamer è l’abbigliamento, l’aspetto che l’avatar (ovvero il personaggio che rappresenta il giocatore) assume nello scenario di gioco.

Eva Laudace

Acqua alta

Un male invecchia la pianta dalle foglie
dagli occhi e il tuo corpo tutto

mi dici non fa niente.

Tu solo sei della forma che hai scelto
e anche io ti vedo così.

Ascolta allora come devi fare
perché ce la faremo in questo modo
come quelli che non hanno scelta e ce la fanno.
Devono farcela per tutti gli altri
a cui manca la forza della voce, il perdono
un’altra via.

Gennaro De Falco
Mi batte il corazón

Il 5 luglio 1984 il popolo di Napoli
accoglieva il suo nuovo Re
pantaloncini corti e capigliatura anti protocollare:
fragori incomprensibili e applausi dialettali
preannunciavano lieti eventi, ammonendo anzitempo
le squadre demoplutocratiche del Nord.

Mancavano i Borboni, ma vittorie sarebbero occorse
e Diego già lo si vedeva a capo
del nuovo esercito Reale.

Anche San Paolo applaudì, perdendo il suo consueto rigore:
stava scrivendo una lettera bis ai Romani quando all’intrasatta fu bloccato.
Il Santo obbedì di malavoglia, borbottò, fu rimproverato,
Stai senza pensieri, rispose il Superiore un po’ alterato.

Lo zio di Tarso capì l’antifona e si mise a pregare:
sia fatta la Tua volontà,
come in cielo così in terra, come in casa così in trasferta.
Amen.

Leila Falà

Pretesto
(da una scritta su un muro)

Come sai
“Ho messo la testa a posto
ma non ricordo in quale posto”
Ho messo la testa a posto
(osto, osto)
ma il corpo resta qui con me
in giro per il mondo
a coccolarmi dopo che
mi sono, appunto, de-testata
(stata, stata).

Non bisogna detestarsi
(arsi, arsi). Concordo.
E dunque
se tolgo la testa dal posto e torno
a mandarla in giro col corpo
sarà nel suo contesto
(contesto, con testo).

E dunque attesto che
il corpo con testa
contesta, contesta.

Maria Canino

Lo senti?

E se dentro a questo giorno
ce ne fosse un altro uguale?
Aspetta ancora un attimo
prima di entrare

Ma le gambe vanno via come nuvole
e fuori da quella finestra
c’è la stessa aria che c’è adesso qui
soltanto più grande

Lo senti?

C’è un buio che aspetta di essere aperto
dentro al mio petto
e rovistando a tentoni
ci ho perso una mano

I miei fogli non hanno più fine
e ricordo il momento preciso in cui la mia schiena è caduta per terra
a cercare il tuo suono
e ha trovato formiche

Lo senti?

Non c’è più niente sotto i nostri piedi
e adesso si balla muovendo le bocche
Chiuse Aperte Chiuse Aperte
si può saltare spingendosi al niente

E se almeno per oggi
quei due morti non fossimo noi?
Potrebbe andare in maniera diversa
oggi potremmo aprire una finestra
e volare via

Lo senti?

Adriano Cataldo

Persone plurali

È una finestra l’inizio, quanto dato.
Il poco e oltre, su solo piano, quanto possibile.
Ci si dice così: io, essi, sono.

Sono a vedere sul titolo di un giornale un campo d’arbitrio.
Inutile dire “andate via”. Dovreste pestarmi un piede per renderlo vero.
Vanno e vengono, come se ci appartenessero.
Qui, nemmeno un soccorso di pause.
Sono per ore in ascolto di pause,
tra colpi di tosse, a cercare un pericolo, un capo d’accusa,
a cercare per ore la causa, quel modo dei corpi di far delitto diritto.
Sono per ore tra gli altri, a prendere e sentire parte, lesa, in causa.
Sono per ore a cercare tra i coni dello sguardo, come perora il respiro una traccia.
Non tanto la pausa, ma il passaggio tra l’uno e l’altro a sottendere il giorno.
Sono in quel giorno. Il dubbio è sul metodo.

PoIAltry*

Il cuore è nato sacro
dalla fronte coronata di spine
– spine come stelle
come ceri gialli senza fiamma –
Cuore maligno che canta
e che sogna il martirio

Ho il cuore triste
che vive la speranza
vive la lontananza
del vivere

E se non torna aspetteremo un nuovo cuore
ancora più maligno
ancora più lontano

*La giuria ha anche deciso di segnalare le poesie realizzate da un’intelligenza artificiale. Michele Laurelli è infatti l’autore della rete neurale artificiale “PoIAltry”, la prima realtà di questo tipo ad aver prodotto una raccolta poetica in Italia (Come un’anima di Cristo 2020) e la prima a partecipare a un concorso letterario nazionale.

La data della Cerimonia di Premiazione sarà comunicata terminato il periodo di restrizioni.

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